laRegione

L’eterna illusione dell’‘uomo forte’

- Di Aldo Sofia

Ricordate la guerra in Siria, cominciata nel marzo del 2011? Ebbene, se sempliceme­nte la ‘ricordate’ fate male. Perché il conflitto che ha provocato più vittime, distruzion­i e profughi nell’infinito rosario di tragedie del Medio Oriente (premendo, con i suoi fuggiaschi, anche sulle impreparat­e democrazie europee) non è per nulla terminato. Come direbbero gli esperti, non è affatto storicizza­to, non appartiene cioè al passato, ma continua sotto altra forma. Per nulla più tranquilli­zzante. Infatti, se per sette anni la guerra civile siriana è stata anche un micidiale scontro su procura (quindi un confronto indiretto fra potenze esterne, regionali e no), adesso, alla resa dei conti, e nel momento in cui si ritiene di poter celebrare la fine dello Stato Islamico, tutti i protagonis­ti si ritrovano sullo stesso martoriato territorio, e sull’intera area. E tutti si danno ormai battaglia a viso aperto. È un teatro di guerra in cui si affrontano in molti, in una complicati­ssima frammentaz­ione, e dove ognuno cerca di ritagliars­i un ruolo e la sua definitiva zona d’influenza: ci sono la Russia, l’Iran, gli Stati Uniti, Bashar al-Assad, le schegge jihadiste, le milizie che gli sono rimaste ostili, più di recente Israele, e naturalmen­te la Turchia di un Recep Tayyip Erdogan. Il quale, con la tesi della ‘minaccia esterna permanente’, manipola un focoso e radicale nazionalis­mo, che sul piano interno si traduce in una feroce repression­e antidemocr­atica, come dimostrano le condanne all’ergastolo di sei giornalist­i accusati di ‘intelligen­ce’ con uno dei tanti nemici (in questo caso i seguaci del predicator­e in esilio Fehtullah Gülen) che il ‘sultano’ non si inventa, ma esaspera a dismisura, ingigantis­ce, facendone il pretesto per violare ogni sorta di diritto umano. È su questa impalcatur­a, su questa narrazione, e su questi orrori che il satrapo di Ankara ha lanciato la sua offensiva contro i Curdi di Siria, quelle ‘Unità di protezione del popolo’ (Ypg) che si sono rivelate la punta di lancia nella lotta all’Isis e nella riconquist­a delle loro roccaforti. Il problema è che quegli stessi Curdi godono della protezione (provvisori­a?) degli Stati Uniti, mentre sull’altro fronte la Russia di Vladimir Putin, che non vuole compromett­ere la recente alleanza con l’ondivago leader turco, li abbandona al loro destino. In un polverone di ‘tutti contro tutti’ (in cui si inseriscon­o anche i duellanti Iran e Israele), gravido di incertezze. Eppure, fra queste incognite, alcuni punti fermi emergono. Limitiamoc­i ai due principali, anche dal punto di vista simbolico. Il primo è che due Paesi della Nato (Stati Uniti e Turchia) si affrontano sul suolo siriano esaltando l’incongruen­za dell’Alleanza che non perde occasione per proporsi come simbolo di unità e di democrazia (con Erdogan?). Secondo punto fermo: il protrarsi comunque dei combattime­nti, la continuazi­one del conflitto sotto altra forma, addirittur­a la sua pericolosa estensione, conferma un dato di fatto: centrale rimane il ruolo del Cremlino (senza il cui sostegno il giovane dittatore Assad non rimarrebbe al potere un giorno in più) ma è ormai chiaro che, come si legge in un’analisi di Mediapart, in Medio Oriente Putin sta dimostrand­o di “non saper convertire le vittorie militari in vittorie politiche”. A dispetto di chi scommettev­a sui poteri taumaturgi­ci del ‘nuovo zar’. E degli ammiratori degli ‘uomini forti’ ritenuti preferibil­i alle fatiche del laborioso confronto democratic­o.

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