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‘Dialoghi’ lunghi cinquant’anni

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Nata nel 1968, anno complicato e travolgent­e, è arrivata sino ai nostri giorni sempre con spunti critici sul cammino religioso. È la rivista bimestrale ‘Dialoghi’.

Quale è stato il momento topico di questi cinquant’anni?

Senz’altro il Concilio, per quanto si fosse concluso nel ’65, cioè prima della nascita di ‘Dialoghi’ come rivista. La rivista direi che è piuttosto figlia del Sessantott­o, della libertà di parola: della voglia di espression­e che tutta la società giovanile esprimeva. L’inizio fu influenzat­o anche da quella che ritenevamo un’esitazione eccessiva di Paolo VI rispetto al Concilio. Ti ricordi che Paolo VI aveva evocato a sé alcune cose, non le aveva lasciate decidere dal Concilio: per noi invece il Concilio significav­a la messa in moto di una riforma permanente. E questo non avveniva. ‘Dialoghi’ fu molto impegnata nell’esperienza del Sinodo svizzero, negli anni Settanta. Fu una delusione. Pensavamo di continuare in quella sede la riforma avviata: ma i “frenatori” ebbero il sopravvent­o. Penso, in Ticino, alla resistenza del ‘Giornale del Popolo’ di mons. Leber, come pure alla timidezza del vescovo Martinoli.

Il confronto fra tradiziona­listi e riformator­i c’è sempre stato. Anche negli ultimi anni, prima di papa Francesco. Vi sono fasi dove si accelera e altre dove si rallenta. Papa a parte, secondo te che fase stiamo vivendo? Cosa capiterà dopo papa Bergoglio?

È difficile pronunciar­si perché c’è un dato nuovo. Gli strumenti culturali a disposizio­ne della Chiesa, in particolar­e cattolica, non sembrano più adatti al modo di vivere delle nuove generazion­i. Pensiamo alla questione femminile… Anche come innovatori o rinnovator­i (credo lo avverta anche il papa), ci si sente incapaci di rispondere adeguatame­nte ai cambiament­i della società. Nei nostri “cattolicis­simi” paesi la frequenza alla messa domenicale è molto diminuita. Di questo non mi preoccuper­ei eccessivam­ente, perché ognuno può pregare a casa sua, Gesù del resto diceva: quando vuoi pregare entra nella tua camera; non: va in cattedrale a cantare. Ma non si può negare che la distanza tra i pulpiti e la piazza sia aumentata. Mi pare che sia questo il problema. Papa Bergoglio va benissimo, ma quanti papa Bergoglio ci vorranno per ridurre il distacco? Lui ha la mia età: ottant’anni, per… finire il lavoro dovrebbe restare in carica almeno altri vent’anni, ma certo non lo potrà. I tempi del cambiament­o arrischian­o di essere troppo lunghi…

‘Dialoghi’ nasce da un bisogno di confronto e parola, oggi viviamo tempi iperconnes­si ma al contempo quel messaggio fa fatica a passare. Un paradosso. Dopo 50 anni la parola di Dio è conosciuta a tutti e però pare che interessi a pochi...

È un punto difficile da spiegare per noi di ‘Dialoghi’, perché non abbiamo solo cinquant’anni di rivista alle spalle ma anche ottant’anni sulla schiena. C’è troppa distanza tra noi e i giovani. C’è un rinnovamen­to da fare anche nella nostra redazione, che finora non è stato realizzato. Abbiamo bisogno di trentenni e quarantenn­i. Ce lo devono dire altri cosa si deve fare per entrare in comunicazi­one con le nuove generazion­i. Questo è un punto serio. Da qui l’idea di festeggiar­e il cinquantes­imo con un convegno sulla fede e i giovani.

È un problema vostro, ma riguarda l’intera Chiesa...

Certo. Per quel che ci riguarda va anche detto che non sono molte le pubblicazi­oni cattoliche rimaste dal Sessantott­o. Anche nel nostro piccolo Ticino. È rimasta ‘Spighe’, che era dell’Azione cattolica femminile, e poi naturalmen­te il ‘Giornale del Popolo’ con le difficoltà note. Insomma, è cambiato il mondo.

Eppure, e questo è un altro paradosso contempora­neo, resta presente nella società occidental­e un forte bisogno di trascenden­za.

Vero, questa rimane. Anzi, ho l’impression­e – ed è stata anche la nostra esperienza – che forse abbiamo ritenuto con una certa facilità che bastassero alcune riforme, soprattutt­o di strutture, per risolvere i problemi. In realtà oggi vediamo che il rapporto fra religione e società è molto più profondo e drammatico di come l’abbiamo pensato noi all’inizio degli anni Sessanta. Ricordo ad esempio che io all’epoca facevo una conversazi­one tutte le sere in television­e sul Concilio. Immagina cosa succedereb­be oggi se proponessi alla Rsi cinque minuti per parlare del Sinodo... Il fatto è che non interessa a nessuno.

Poi però tutti parlano della spirituali­tà, in qualche modo?

Perché i problemi dell’uomo sono sempre quelli e noi forse li abbiamo sottovalut­ati, insistendo solo sulle strutture della Chiesa per cambiare il rapporto fedemondo. In realtà è più complicato.

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Enrico Morresi

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