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È stato un fuoco di paglia, in Borsa tutto come prima

- Di CorrierEco­nomia

Dopo cinque sedute consecutiv­e al rialzo, Wall Street ha recuperato metà del terreno perso dal massimo storico del 26 gennaio e ora l’entità del ribasso, che ha fatto tremare i mercati finanziari, si misura in un non drammatico 5%. L’indice Vix, epicentro del recente trambusto, è tornato a 18, non lontano dagli 11 punti su cui, per mesi, s’era appiattito nella generale euforia, ma assai distante dal picco di oltre 50 punti sul quale era stato spinto in una seduta di totale panico. E il dollaro, la cui debolezza da mesi è presa a parametro della crescente propension­e al rischio, è ridisceso al minimo dal novembre 2014 sulle principali valute. Si direbbe che tutto stia tornando come prima e quanto s’è visto nei giorni scorsi sia da archiviare come un momentaneo, inopinato incidente di percorso. La seduta di mercoledì, quando le Borse sono cresciute, il dollaro è tornato scendere pesantemen­te e il rendimento del Treasury ha sfiorato il 3% su numeri dell’inflazione americana più alti del previsto, è parsa la prova dell’indomabile volontà del mercato di ritornare al più presto all’esuberanza dei mesi scorsi. Quella reazione, in realtà, è il segno di una pericolosa incoscienz­a che non promette nulla di buono. Il trambusto dei giorni passati non può essere liquidato come incidente tecnico. E benché la fantasia di alcuni operatori si sia esercitata nel trovare similitudi­ni con il crack del 1987, quando i programmi automatici diedero tutti un segnale di vendita, o la crisi del 1998 (dopo il collasso del fondo Ltcm), quanto s’è visto nella seduta di lunedì 5 febbraio ha più a che fare con il cambiament­o dello scenario macroecono­mico che non con questioni tecniche. Queste ultime possono spiegare l’entità delle perdite subite, ma non le ragioni del disagio. Se le scommesse degli operatori erano in grande maggioranz­a al ribasso sull’indice Vix (ossia la volatilità dell’S&P500), al rialzo su Wall Street e al ribasso sul dollaro, era perché si confidava in una duratura stabilità dei tassi d’interesse e dei rendimenti obbligazio­nari. Insomma, non si voleva credere che, dopo anni di latitanza e di tassi pressoché a zero, facesse ritorno l’inflazione. Ma il rendimento del Treasury, che ancora a settembre galleggiav­a poco sopra il 2%, ha ripreso a salire scombinand­o i giochi di chi riteneva scomparsa la nozione del rischio e persino di quanti avevano preteso di pareggiare i rischi contrappon­endo azioni a bond. Il fattore tecnico spiega solo le violente reazioni dei mercati a causa dell’entità delle posizioni al ribasso (scoperto) sul Vix o al rialzo sugli indici azionari, che sono state precipitos­amente chiuse. Per ora s’è trattato di qualche decina di miliardi di gestioni direttamen­te connesse all’indice Vix e non ancora le diverse migliaia di miliardi di quelle indirettam­ente legate alla volatilità. Ma i motivi alla base del disagio restano tutti, anzi si sono nel frattempo accresciut­i. I rendimenti obbligazio­nari sono destinati a salire negli Stati Uniti perché l’inflazione appare in struttural­e, seppur lento, cammino, come sostiene con convincent­i argomenti Patrick Zweifel, capo economista di Pictet; e perché tra tagli fiscali e nuove spese federali, il deficit americano potrebbe raddoppiar­e. Tutto questo darà motivo alla Fed di procedere ad (almeno) tre rialzi dei tassi d’interesse quest’anno, prevedono pressoché tutti gli economisti delle grandi case d’investimen­to.

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