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‘È come un ritorno alle origini’

Storie d’altri tempi all’All Saints Cup per Sannitz e il Lugano di Greg Ireland

- Di Daniele Neri

St. Moritz – È stato un hockey d’altri tempi quello che è andato in scena all’All Saints Cup 2018, torneo internazio­nale che il Lugano ha vinto, battendo (meritatame­nte) in finale il Kloten per 4-1. A fare da sfondo alla kermesse è stata una pista artificial­e appositame­nte costruita nelle vicinanze dell’Hotel Kulm: il ‘Rink of Saints’. In uno scenario che ha riportato alla mente i Giochi olimpici invernali disputati nella località engadinese nel 1928 e nel 1948, con il Kulmpark quale fulcro delle competizio­ni sul ghiaccio. Come settant’anni fa, anche stavolta si è giocato a cielo aperto, sotto le stelle, confrontat­i con diverse situazioni climatiche. Si è così passati di -10° di giovedì sera, ai +9° di venerdì pomeriggio, mentre sabato, per la finale, una leggera ma costante nevicata ha reso ancora più suggestivo lo scenario. «È stata un’esperienza molto bella – racconta l’attaccante del Lugano Raffaele Sannitz, assente nella seconda partita per una fastidiosa sinusite –. Giocare sotto la neve, al freddo, allenarsi a cielo aperto, su un ghiaccio non sempre al top... anche questo fa ambiente. Un giorno sarà simpatico raccontarl­o a figli e nipoti. Mi ricorda i miei primi anni a Chiasso sulla pista scoperta. Ci si allenava e si giocava con ogni situazione climatica. È stata una sorta di ritorno alle origini, che, poi, male non fa. In più, per spostarsi le squadre hanno tutte fatto capo ai mezzi pubblici, con tanto di borsoni al seguito!». Per le pause, a bordo pista, è stato allestito un capannone riscaldato dove i coach hanno potuto impartire le istruzioni ai giocatori, intenti a sorseggiar­e un rigenerant­e té: scene decisament­e da “hockey vintage”... Per la squadra bianconera è però anche stata un’ottima occasione per fare ambiente e team building: «Momenti come questo rafforzano il gruppo. C’è l’aspetto sportivo ma anche quello dello svago, con diverso tempo libero a disposizio­ne. Allenarsi in una cornice come quella di St. Moritz è stupendo. Al gruppo si sono uniti diversi giovani interessan­ti (vedi Zorin, Vedova, Pagnamenta, Fontana, Tosques e l’engadinese Camichel), che ci hanno dato un colpo di mano a vincere il torneo». Quindi un’esperienza da ripetere? «Senz’altro. L’aria di montagna fa bene; giocare a 1800 metri aiuta, soprattutt­o ai globuli rossi – ride –. Inoltre si dà la possibilit­à a un altro pubblico di vedere l’hockey dal vivo». Peccato però che la cornice di pubblico non sia stata quella auspicata dagli organizzat­ori... Chi era presente ha comunque potuto gustarsi un hockey divertente, malgrado un ghiaccio approssima­tivo e il nevischio di sabato, che ha reso difficolto­so lo scorriment­o del disco. Insomma, la finale dell’All Saints Cup è stata un ‘Winter Classic’ nostrano.

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