‘È come un ritorno alle origini’
Storie d’altri tempi all’All Saints Cup per Sannitz e il Lugano di Greg Ireland
St. Moritz – È stato un hockey d’altri tempi quello che è andato in scena all’All Saints Cup 2018, torneo internazionale che il Lugano ha vinto, battendo (meritatamente) in finale il Kloten per 4-1. A fare da sfondo alla kermesse è stata una pista artificiale appositamente costruita nelle vicinanze dell’Hotel Kulm: il ‘Rink of Saints’. In uno scenario che ha riportato alla mente i Giochi olimpici invernali disputati nella località engadinese nel 1928 e nel 1948, con il Kulmpark quale fulcro delle competizioni sul ghiaccio. Come settant’anni fa, anche stavolta si è giocato a cielo aperto, sotto le stelle, confrontati con diverse situazioni climatiche. Si è così passati di -10° di giovedì sera, ai +9° di venerdì pomeriggio, mentre sabato, per la finale, una leggera ma costante nevicata ha reso ancora più suggestivo lo scenario. «È stata un’esperienza molto bella – racconta l’attaccante del Lugano Raffaele Sannitz, assente nella seconda partita per una fastidiosa sinusite –. Giocare sotto la neve, al freddo, allenarsi a cielo aperto, su un ghiaccio non sempre al top... anche questo fa ambiente. Un giorno sarà simpatico raccontarlo a figli e nipoti. Mi ricorda i miei primi anni a Chiasso sulla pista scoperta. Ci si allenava e si giocava con ogni situazione climatica. È stata una sorta di ritorno alle origini, che, poi, male non fa. In più, per spostarsi le squadre hanno tutte fatto capo ai mezzi pubblici, con tanto di borsoni al seguito!». Per le pause, a bordo pista, è stato allestito un capannone riscaldato dove i coach hanno potuto impartire le istruzioni ai giocatori, intenti a sorseggiare un rigenerante té: scene decisamente da “hockey vintage”... Per la squadra bianconera è però anche stata un’ottima occasione per fare ambiente e team building: «Momenti come questo rafforzano il gruppo. C’è l’aspetto sportivo ma anche quello dello svago, con diverso tempo libero a disposizione. Allenarsi in una cornice come quella di St. Moritz è stupendo. Al gruppo si sono uniti diversi giovani interessanti (vedi Zorin, Vedova, Pagnamenta, Fontana, Tosques e l’engadinese Camichel), che ci hanno dato un colpo di mano a vincere il torneo». Quindi un’esperienza da ripetere? «Senz’altro. L’aria di montagna fa bene; giocare a 1800 metri aiuta, soprattutto ai globuli rossi – ride –. Inoltre si dà la possibilità a un altro pubblico di vedere l’hockey dal vivo». Peccato però che la cornice di pubblico non sia stata quella auspicata dagli organizzatori... Chi era presente ha comunque potuto gustarsi un hockey divertente, malgrado un ghiaccio approssimativo e il nevischio di sabato, che ha reso difficoltoso lo scorrimento del disco. Insomma, la finale dell’All Saints Cup è stata un ‘Winter Classic’ nostrano.