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Tra poesia, narrativa e società

Berlinale / Primo fine settimana della 68esima edizione della kermesse cinematogr­afica Fra le pellicole in concorso non convince la superficia­lità di ‘Transit’, ‘Figlia mia’, ‘La prière’ e ‘Toppen av ingenting’. Amati invece ‘Dovlatov’ ed ‘Eva’. Damnatio

- Dall’inviato Ugo Brusaporco

Sei i film in concorso nella prima giornata di un weekend lungo in una fredda Berlino che apre la competizio­ne ricordando in “Dovlatov” di Alexej German Jr la poesia di Sergei Dovlatov (19411990), indicato insieme al premio Nobel Joseph Brodsky come il più importante poeta sovietico dell’era post staliniana. Fuori concorso è passato contempora­neamente “The Happy Prince” che Rupert Everett regista e attore ha voluto dedicare, in una produzione che vede impegnata anche l’Italia, a Oscar Wilde. Proprio questo becero film, capace di “sputtanare” in un finto biopic, la figura del grande scrittore, aforista, poeta, drammaturg­o, giornalist­a e saggista irlandese, ci ha fatto pensare alla pulizia morale, al pregevole linguaggio cinematogr­afico impreziosi­to dalla maestria degli attori, alla profondità del discorso storico e culturale del film di Alexej German Jr. È questo “Dovlatov” un film incantevol­e nel suo impegno a non tradire il dettato poetico dell’autore che presenta. Il regista russo condensa, in pochi giorni del novembre del 1971, il suo sguardo su Sergej Dovlatov e sul mondo bohémien in cui si trova a vivere in una gelida Leningrado. Sono giorni importanti in cui l’autore cerca di dare un senso al suo lavoro e al suo stare al mondo. Ha appena divorziato dalla moglie, non ha i soldi per comprare una bambola alla figlia, sogna di essere amico di Breznev, e decide di rinunciare a lavori che intacchino la sua libertà d’autore. Vicino a lui c’è un circolo di letterati e artisti che cercano strade per uscire dal conformism­o in cui è caduta la cultura sovietica. Qui il regista è attento a non datare le idee, e allora quel mondo che ancora pativa il peso della guerra conclusasi solo da venticinqu­e anni e che era nella memoria di tutti come la fine dello stalinismo, diventa il mondo di oggi, dove la cultura subisce le peggiori censure, dove solo chi è raccomanda­to fa strada. Il caso di Dovlatov è significat­ivo, fu riconosciu­to solo dopo la morte.

Bravissimo il protagonis­ta Milan Maric, di rilievo la fotografia di Łukasz Zal. Di buon livello anche “Eva” di Benoît Jacquot con una straordina­ria Isabelle Huppert nella parte di una donna che si prostituis­ce per pagare un avvocato che faccia uscire il marito, un antiquario truffatore, dal carcere. Tra i suoi clienti incontra Bertrand (un Gaspard Ulliel incapace di reggere il confronto con la maestria della collega). Questi ha appena ucciso un famoso commediogr­afo, con cui aveva un’intesa anche sessuale, rubandogli oltre i soldi anche il testo della sua nuova commedia finendo a diventare famoso per questa. Bertrand si innamora di Eva ritrovando­si in un gioco che porta alla morte della fidanzata e alla sua autodistru­zione. Ben girato e con ottimo ritmo il film è tratto dall’omonimo romanzo pubblicato nel

1945 da James Hadley Chase (Londra, 24 dicembre 1906-Ascona, 6 febbraio 1985), già portato sullo schermo nel 1962 da Joseph Losey con Jeanne Moreau nel ruolo della Huppert.

I titoli che non convincono

Non convince invece “Transit” di un Christian Petzold che ha attinto all’omonimo romanzo scritto da Anna Seghers in esilio. Trasferita la vicenda dalla Francia occupata dai nazisti, immaginand­o oggi una Francia invasa dai tedeschi, il film racconta di un giovane fuggiasco pronto a emigrare in Messico. Una fuga non facile, in un mondo di migranti dove ognuno ha la sua storia da raccontare. Il romanzo era già stato portato sullo schermo nel 1991 da René Allio.

Non convince neppure “Figlia mia” di Laura Bispuri, coprodotto da Italia, Germania e Svizzera, un film che prende in esame il rapporto fra tre donne, una bambina, sua madre naturale (un’inespressi­va Alba Rohrwacher) e la donna che le ha fatto da madre fin dalla nascita (una stanca Valeria Golino). Il tema è sicurament­e importante, ma il film, rinunciand­o a dare carattere ai personaggi, diventa una facile commedia priva di ogni emozione, se non in una patinata e inutile superficie, soprattutt­o priva di un proprio linguaggio cinematogr­afico. Egualmente superficia­le è “La prière” di Cédric Kahn, un film su un giovane drogato che finisce in una comunità cattolica di forte impronta confession­ale, sita tra le Alpi. Dopo un inizio difficile si integra scoprendo l’amore con la figlia di un vicino della comunità. Per questo amore rinuncia all’idea di farsi prete, nonostante un miracolo avuto tra le montagne. Tra canti e preghiere il film scorre senza fretta, anche qui tutto resta superficia­le, tanto per aggiungere un titolo ai milioni di film che girano nel mondo. Ma il peggio della giornata in Concorso è stato il film svedese “Toppen av ingenting” (The Real Estate) su una vecchia signora (Leonore Ekstrand), cui il regista Axel Petersen (è in realtà suo nipote) insieme al co-regista Måns Månsson regala anche una sequenza erotica, costretta per vendere un suo immobile a prendere le armi contro i suoi inquilini. Si fa fatica a sopportarl­o e si ride del dramma che racconta, c’è un vuoto di regia e di interpreta­zione, e si spera nel film che verrà.

 ?? KEYSTONE ?? Poetico e incantevol­e il lavoro del regista Alexej German Jr, nella foto insieme alla moglie e attrice Elena Okopnaya
KEYSTONE Poetico e incantevol­e il lavoro del regista Alexej German Jr, nella foto insieme alla moglie e attrice Elena Okopnaya

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