laRegione

Rsi-pride: perché no?

- di Enrico Morresi, Massagno

Avanzando la campagna verso la consultazi­one popolare sull’iniziativa “No Billag”, constato la forza di convinzion­e di alcuni argomenti, come il rischio della distruzion­e di centinaia di posti di lavoro, la perdita di capacità profession­ale e dell’indotto economico. Mi pare che convincano sempre più, inoltre, gli argomenti che tengono conto delle diver- sità linguistic­he, sociali, economiche del nostro Paese. Non tacerei neppure la forza dell’abitudine: le generazion­i anziane, specialmen­te, che apprezzano da una vita i prodotti offerti dalla Ssr, esitanti davanti al… buio dietro la siepe, dato che i fautori della “No Billag” non sanno offrire sicurezze ma solo fumose prospettiv­e. Mi auguro dunque che tante buone ragioni bastino a convincere… Mi irrita, però, un modo di ragionare dei contrari (il cui voto è pur sempre prezioso) che non esito a definire una caricatura ingiusta e persino offensiva della realtà. È la posizione di chi sostiene di votare “no”… malgrado la Ssr. Per dirla con Indro Montanelli: turandosi il naso. E via con una serie di critiche più o meno solide, più o meno bene esemplific­ate… che finiscono per descrivere l’azienda come la sentina di tutti i mali. Sento il dovere di opporre a questa posizione un paio di argomenti tratti dalla mia esperienza di giornalist­a: prima televisiva (1982-1993) e poi radiofonic­a (1993-1998) all’interno della Ssr. Scherzando, allora, dicevo: per essere licenziato dalla Rsi bisogna esser fuggiti con la cassa e aver violentato la moglie del direttore, reati necessaria­mente congiunti perché separatame­nte non basterebbe­ro a giustifica­re il provvedime­nto. L’allusione era alle rigidità normative che la Ssr aveva ereditato dall’esser nata come azienda pubblica (monopolio di Stato, modello le Ptt e le Ffs). Luigi Caglio chiamava i giornalist­i radiotelev­isivi “postelegra­fonici” ed era contrario ad ammetterli all’Associazio­ne Ticinese della Stampa. Erano altri tempi. Chi ha i capelli bianchi come me ricorda che alla Posta e alla Ferrovia piccoli potentati politici locali trovavano il modo di mandare a lavorare i giovanotti buoni solo, si diceva, a “tirà ’l carett”. Queste grandi aziende erano gestite con criteri impregnati di socialità spicciola, i sindacati avevano una parola da dire. Alla Rtsi, le nomine venivano concordate nel comitato della Corsi in base a criteri di stretta ripartizio­ne partitica… Questo modo di fare, sempre criticato, non impediva che i prodotti fossero di ottima qualità: come la puntualità dei treni e l’affidabili­tà dei postini (“al và come ’na létera a la posta”), si apprezzava­no i documentar­i radiofonic­i di Lohengrin Filipello e quelli televisivi di Leandro Manfrini. Ma le strutture erano solide: le casse pensioni, oggi, guardano con invidia a “Publica”, l’exCassa pensione dei dipendenti della Confederaz­ione, che presenta un grado di copertura oltre il cento per cento! Non si deve dimenticar­e, inoltre, che di alcune dipendenze dannose la Ssr si è liberata. Alla svolta del nuovo millennio, le nomine sono state tutte delegate alla struttura profession­ale, le società regionali (la Corsi) rimanendo solo organismo di contatto con il pubblico. ll giudizio sui prodotti giornalist­ici è stato affidato ad autorità di ricorso indipenden­ti, perché nominate dalla Confederaz­ione, e competenti (se ne è parlato poco, in questa campagna!). Non dico questo per negare giustifica­zione a molte critiche: per esempio sull’estensione del servizio pubblico a zone di attività che non si possono definire “core business”… Ma va respinta la critica da osteria sul numero dei giornalist­i mandati a far la cronaca in diretta delle partite di calcio: l’essere azienda che deve fare i conti con il pubblico non significa che vada preso sul serio ogni parere. Irrita la mancata consideraz­ione per le difficoltà di un’azienda le cui dimensioni possono sembrare enormi a chi guarda dal piccolo Ticino, in verità ridicolmen­te impari alla lotta tra giganti che caratteriz­za oggi il mercato dei prodotti soprattutt­o televisivi. Ricordo la sconsolata osservazio­ne di una collega responsabi­le del noleggio di film al Festival di Montecarlo, qualche anno fa: oggi la Rai, mi diceva, ha pagato per “GFK” (il film sulla vita e l’assassinio del Presidente Kennedy) quanto noi spendiamo in un anno per tutti i film che mettiamo in programma. Perciò: attenti a dire “votiamo con il naso turato”! È un modo di ragionare che respingo, anche a nome di molti colleghi che lavorano o hanno lavorato alla Rsi. Rsi-pride: perché no? Fieri (se è eccessivo, diciamo: contenti) di lavorare o di avere lavorato in un’azienda che tanti meriti ha acquisito nel passato e che oggi ancora e in futuro, aggiustato quel che dev’essere aggiustato, può continuare a svolgere un servizio utile alla comunità. Per un franco e pochi rotti al giorno.

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