Rsi-pride: perché no?
Avanzando la campagna verso la consultazione popolare sull’iniziativa “No Billag”, constato la forza di convinzione di alcuni argomenti, come il rischio della distruzione di centinaia di posti di lavoro, la perdita di capacità professionale e dell’indotto economico. Mi pare che convincano sempre più, inoltre, gli argomenti che tengono conto delle diver- sità linguistiche, sociali, economiche del nostro Paese. Non tacerei neppure la forza dell’abitudine: le generazioni anziane, specialmente, che apprezzano da una vita i prodotti offerti dalla Ssr, esitanti davanti al… buio dietro la siepe, dato che i fautori della “No Billag” non sanno offrire sicurezze ma solo fumose prospettive. Mi auguro dunque che tante buone ragioni bastino a convincere… Mi irrita, però, un modo di ragionare dei contrari (il cui voto è pur sempre prezioso) che non esito a definire una caricatura ingiusta e persino offensiva della realtà. È la posizione di chi sostiene di votare “no”… malgrado la Ssr. Per dirla con Indro Montanelli: turandosi il naso. E via con una serie di critiche più o meno solide, più o meno bene esemplificate… che finiscono per descrivere l’azienda come la sentina di tutti i mali. Sento il dovere di opporre a questa posizione un paio di argomenti tratti dalla mia esperienza di giornalista: prima televisiva (1982-1993) e poi radiofonica (1993-1998) all’interno della Ssr. Scherzando, allora, dicevo: per essere licenziato dalla Rsi bisogna esser fuggiti con la cassa e aver violentato la moglie del direttore, reati necessariamente congiunti perché separatamente non basterebbero a giustificare il provvedimento. L’allusione era alle rigidità normative che la Ssr aveva ereditato dall’esser nata come azienda pubblica (monopolio di Stato, modello le Ptt e le Ffs). Luigi Caglio chiamava i giornalisti radiotelevisivi “postelegrafonici” ed era contrario ad ammetterli all’Associazione Ticinese della Stampa. Erano altri tempi. Chi ha i capelli bianchi come me ricorda che alla Posta e alla Ferrovia piccoli potentati politici locali trovavano il modo di mandare a lavorare i giovanotti buoni solo, si diceva, a “tirà ’l carett”. Queste grandi aziende erano gestite con criteri impregnati di socialità spicciola, i sindacati avevano una parola da dire. Alla Rtsi, le nomine venivano concordate nel comitato della Corsi in base a criteri di stretta ripartizione partitica… Questo modo di fare, sempre criticato, non impediva che i prodotti fossero di ottima qualità: come la puntualità dei treni e l’affidabilità dei postini (“al và come ’na létera a la posta”), si apprezzavano i documentari radiofonici di Lohengrin Filipello e quelli televisivi di Leandro Manfrini. Ma le strutture erano solide: le casse pensioni, oggi, guardano con invidia a “Publica”, l’exCassa pensione dei dipendenti della Confederazione, che presenta un grado di copertura oltre il cento per cento! Non si deve dimenticare, inoltre, che di alcune dipendenze dannose la Ssr si è liberata. Alla svolta del nuovo millennio, le nomine sono state tutte delegate alla struttura professionale, le società regionali (la Corsi) rimanendo solo organismo di contatto con il pubblico. ll giudizio sui prodotti giornalistici è stato affidato ad autorità di ricorso indipendenti, perché nominate dalla Confederazione, e competenti (se ne è parlato poco, in questa campagna!). Non dico questo per negare giustificazione a molte critiche: per esempio sull’estensione del servizio pubblico a zone di attività che non si possono definire “core business”… Ma va respinta la critica da osteria sul numero dei giornalisti mandati a far la cronaca in diretta delle partite di calcio: l’essere azienda che deve fare i conti con il pubblico non significa che vada preso sul serio ogni parere. Irrita la mancata considerazione per le difficoltà di un’azienda le cui dimensioni possono sembrare enormi a chi guarda dal piccolo Ticino, in verità ridicolmente impari alla lotta tra giganti che caratterizza oggi il mercato dei prodotti soprattutto televisivi. Ricordo la sconsolata osservazione di una collega responsabile del noleggio di film al Festival di Montecarlo, qualche anno fa: oggi la Rai, mi diceva, ha pagato per “GFK” (il film sulla vita e l’assassinio del Presidente Kennedy) quanto noi spendiamo in un anno per tutti i film che mettiamo in programma. Perciò: attenti a dire “votiamo con il naso turato”! È un modo di ragionare che respingo, anche a nome di molti colleghi che lavorano o hanno lavorato alla Rsi. Rsi-pride: perché no? Fieri (se è eccessivo, diciamo: contenti) di lavorare o di avere lavorato in un’azienda che tanti meriti ha acquisito nel passato e che oggi ancora e in futuro, aggiustato quel che dev’essere aggiustato, può continuare a svolgere un servizio utile alla comunità. Per un franco e pochi rotti al giorno.