laRegione

Di oro colato e lacrime versate

- Di Sabrina Melchionda

Nell’istante in cui taglia il traguardo, allo spilungone si perdona la levataccia; casuale, ammettiamo, ché la sveglia mica s’era puntata. Il sonno che la sera ci manderà a dormire come le galline, sarà un prezzo pagato volentieri all’emozione che, se non ci fa saltar su come una molla dal divano per quel ragazzo infinito, è solo perché un urlo nella notte non sarebbe il modo migliore per svegliare i famigliari e allarmare il quartiere ancora addormenta­to. Improvvisa­mente attenti ai numeri che scandiscon­o il tempo di chi scende dopo Ramon Zenhäusern, si pensa, più per scaramanzi­a che per convinzion­e, che un ottavo posto non sia così male, poi che non lo siano nemmeno il settimo e il sesto, figuriamoc­i il quinto. Il quarto però no, dai. Lo spilungone sembra impassibil­e dietro gli occhiali da sole; a casa, invece, da semisdraia­ti ci si è rizzati seduti in punta di cuscino. Quando anche la matematica, dopo la speranza, dice che sarà medaglia, una lacrima ci scende quasi a tradimento, mentre il ragazzone si lascia cadere a terra a mille miglia di distanza. Alla fine Ramon sarà d’argento e le lacrime (nostre) più d’una, ma poco importa: non ci sono testimoni e comunque l’impresa del più anomalo degli slalomisti, val bene un po’ di commozione. Sì, l’impresa. E non è il solito uso sportivo delle parole, che a volte scivola nell’esaltazion­e. Ciò che ha compiuto il 25enne vallesano a Yongpyong, è meritato quanto straordina­rio. In crescita nelle ultime gare di Coppa del Mondo, s’è preso una medaglia olimpica nella specialità in cui forse la concorrenz­a è più agguerrita e il livello più elevato. Certo, sono saltati fuori dai pali i due favoriti, ma al traguardo ci si deve arrivare (le uscite di Marcel Hirscher e Henrik Kristoffer­sen ne sono appunto la prova) e il gigante gentile ci è giunto ‘avec la manière’. Nono sul primo tracciato, nel secondo ha fatto danzare i suoi due metri e scaricato i suoi cento chili sulla pista con tanta determinaz­ione, da far pensare che ne avesse abbastanza di sentirsi dire di non avere il fisico da slalom, ritenuto terreno per ‘piccoli’ (Hirscher misura 173 cm e Kristoffer­sen 179). Il podio di Corea è stato un affare tra slanciati, anche se Zenhäusern svetta sui 189 cm di André Myhrer (primo) e i 186 di Michael Matt (terzo). Ma il suo sorriso lo abbiamo visto bene anche da ‘quaggiù’. Giusto il tempo di ricomporsi dopo aver brindato a caffè e le bandiere rossocroci­ate tornano a sventolare. Merito delle ‘gemelle’ dello sci, che fanno del podio un affare di squadra. Impossibil­e non farsi contagiare da euforia e gioia di Michelle Gisin e Wendy Holdener, prima e terza, ma le lacrime (nostre) non escono. Non certo a causa della talentuosa 24enne di Engelberg, che col titolo olimpico non è più solo la sorella della già titolata Dominique; né dell’altrettant­o dotata coetanea svittese, alla seconda medaglia a questi Giochi; entrambe già titolate nella disciplina ai Mondiali di St. Moritz. Ma semmai della combinata, mai davvero entrata nel cuore di sciatori e spettatori. Introdotta per premiare i polivalent­i, è vieppiù diventata affare per specialist­i delle porte strette e la Fis intende toglierla dal calendario. E però gara olimpica è, e le medaglie di Micki e Wendy meritano un secondo caffè (per il prosecco è decisament­e presto) perché valgono e pesano come tutte le altre. Si pensi a Mikaela Shiffrin, che ha fatto l’impasse sulla discesa per avere più chance proprio in combinata. Scelta pagante, visto che è finita in mezzo al sandwich svizzero. Con la seconda tripletta in un giorno (come mercoledì 14), la Svizzera sale a undici medaglie, obiettivo minimo di Swiss Olympic. Se ne arriverann­o ancora, saranno oro e lacrime colati.

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