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Impression­i critiche sulla 68esima Berlinale

‘Un’edizione piuttosto strana e fiacca’, così come i giudici insipienti. Regista d’oro Adina Pintilie con l’opera prima ‘Touch Me Not’; Orso di cristallo al regista svizzero Germinal Roaux, con l’intenso ‘Fortuna’.

- dal nostro inviato Ugo Brusaporco

Apriamo questo articolo sulla Berlinale numero 68 – appena conclusasi, con l’Orso d’oro a un film, “Touch Me Not”, opera prima di Adina Pintilie, film rumeno, coprodotto dalla Germania, che alla proiezione stampa è stato abbandonat­o da più di metà sala, e giudicato dai più “osceno” – con una notizia importante: il trionfo del cinema svizzero! Il Crystal Bear for the Best Film a “Fortuna” di Germinal Roaux, un film dolorosiss­imo su una giovane immigrata etiope finita ai piedi del Sempione, film girato in un bello e intenso bianco e nero, che ha convinto per il suo linguaggio e la sua intensità la giuria giovane della sezione 14plus, una delle più seguite alla Berlinale. Importante è anche il Silver Bear Jury Prize (Short Film) a “Imfura” di Samuel Ishimwe, studente della scuola di Cinema di Ginevra. Il film ci riporta alla base del movimento dei migranti, i conflitti. Il giovane regista torna in Ruanda dopo quel massacro che ha turbato persino un mondo sempre meno attento a quello che accade fuori dalle proprie mura domestiche. Pensando agli applausi all’altro film svizzero “Eldorado” di Markus Imhoof – premiato con una menzione speciale dell’Amnesty Internatio­nal Film Prize, lavoro sulla questione dell’accoglienz­a dei migranti declinata al passato prossimo delle migrazioni interne all’Europa – si deve dire che la Svizzera ha dato grande lezione di cinema e civiltà a questa strana e fiacca edizione della Berlinale.

Criticità della manifestaz­ione

Un’edizione in cui sono emersi potenti i problemi interni che vedono una fronda sempre più forte contro Dieter Kosslick, direttore dal 2001. Una manifestaz­ione che in numeri vuol dire più di 340mila spettatori, più di 20mila profession­isti provenient­i da 127 nazioni, 3’700 giornalist­i e un mercato in crescita espo- nenziale. Se questi numeri sono merito indubbio di Kosslick, egli è accusato di mancanza di qualità e poca influenza come direttore artistico. Infatti, il Concorso di quest’anno ha mostrato i suoi limiti, aggravati da una scelta di giuria di basso livello: eccetto il musicista Ryuichi Sakamoto, il resto, a cominciare dal suo presidente il regista e musicista tedesco Tom Tykwer. Una giuria di fatto inesistent­e che ha premiato con l’Orso d’oro “Touch Me Not”, che un po’ tedesco lo è, e che accontenta anche il gusto di altri giurati che come la regista Pintilie sono attivi come direttori di festival. Quello che non abbiamo accettato del film vincitore è la superficia­lità voyeuristi­ca con cui si presentano atti sessuali di handicappa­ti, travestiti eccetera. Non è una questione solo morale è anche segno di una marcata incapacità narrativa. Il Gran Premio della Giuria è andato a “Twarz” di Małgorzata Szumowska, un film dal vecchio sapore televisivo che affronta il tema importante dell’identità, ma con il freno tirato per paura di perdere i finanziame­nti. Un discorso a parte merita il Silver Bear Alfred Bauer Prize per il film che apre nuove prospettiv­e: “Las herederas”, un’altra opera prima, coprodotta dalla Germania e firmata dal paraguaian­o Marcelo Martinessi. Un bel film, linguistic­amente corretto e ben contenuto, che percorre bene le vecchie strade! Se un premio doveva avere era l’Orso d’oro, non è un caso infatti che porti a casa, fra gli altri, anche l’Orso per la miglior attrice, la brava Ana Brun. Il Premio per il miglior regista a Wes Anderson con il suo “Isle of Dogs”, portando così un altro alloro alla Germania, che lo ha prodotto. Miglior attore è stato riconosciu­to il giovane Anthony Bajon per “La prière”, di Cédric Kahn; anche se questo premio sarebbe dovuto

Marić, andare a Milan straordina­rio in “Dovlatov” di Alexey German Jr., il film favorito dalla critica, insieme a “Season of the Devil” di Lav Diaz, che una giuria come questa non poteva capire. Il russo si è dovuto accontenta­re di un premio per i costumi, come se si premiasse un libro di poesia per la copertina! E ora questa Berlinale, che ha ricordato la cinematogr­afia di Weimar e quella del ’68, va in archivio e gli orsi tornano in letargo aspettando la Berlinale numero 69.

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KEYSTONE La regista dell’Orso d’oro Adina Pintilie
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In alto, la regista Szumowska. Sotto, il regista ‘di cristallo’ Germinal Roaux
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