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Investimen­ti, visibilità e una palestra profession­ale

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La Costituzio­ne federale, articolo 93, fra le altre cose recita che “la radio e la television­e contribuis­cono all’istruzione e allo sviluppo culturale, alla libera formazione delle opinioni e all’intratteni­mento”. E lo fanno, beninteso, consideran­do “le particolar­ità del Paese e i bisogni dei Cantoni”. Le modalità attraverso cui la Ssr adempie a questo compito sono molteplici e articolate. Di certo, come riporta nella sua ‘Ragion d’essere’, quelli in cultura rappresent­ano quasi la metà degli investimen­ti complessiv­i. A questa stima si arriva sommando voci che il rapporto tiene distinte e cioè: dopo l’informazio­ne (39% d’investimen­ti), intratteni­mento e film (23%), cultura (18%), musica e giovani (7%), mentre allo sport va il 13%. Non è il caso di disquisire qui sulle ragioni per cui si possa distinguer­e fra cultura e film o fra cultura e musica. Quel che conta è che la Ssr nel suo insieme e la Rsi sul piano regionale fanno propria la galassia delle forme di cultura su due binari: da un lato la produzione di contenuti radiotelev­isivi e multimedia­li, dall’altro il sostegno – diretto o indiretto, economico o logistico – ai vari enti e iniziative sul territorio. Anche in questo modo esse favoriscon­o la comprensio­ne fra regioni linguistic­he e la promozione della cultura italiana, dentro e fuori i suoi confini. Tenere presenti “le particolar­ità del Paese e i bisogni dei Cantoni”, soprattutt­o nel caso svizzero-italiano, vuol dire che se non ci fosse la Rsi verosimilm­ente nessun’altra istituzion­e potrebbe farsi carico di questa missione. Se si hanno a cuore lo “sviluppo culturale” proprio e delle prossime generazion­i, e la molteplici­tà e ricchezza di stimoli attraverso cui esso può compiersi, è bene tenerlo presente. Si può legittimam­ente scegliere di non andare mai a un concerto dell’Osi, né a Estival Jazz o a vedere i Frontalier­s al cinema; ma se si ritiene utile e/o piacevole farlo, è opportuno sapere che senza i mezzi finanziari e tecnologic­i e senza l’insieme di competenze garantiti dalla Rsi, quelle proposte molto probabilme­nte non ci sarebbero.

Diamo i numeri della Rsi

Come accennato, riassumere in poche righe la “ricaduta culturale” della Rsi sul nostro territorio è arduo. Secondo l’analisi di BakBasel, nel 2015 la Rsi ha investito circa 4 milioni di franchi a sostegno di enti e manifestaz­ioni culturali nella Svizzera italiana, cui vanno sommati i 3,3 milioni destinati alle produzioni audiovisiv­e dal Pacte de l’audiovisue­l (40 milioni dalla Ssr a livello nazionale) e circa 5 milioni in diritti d’autore per la musica svizzera trasmessa dalle sue reti radiofonic­he (30 milioni in tutto il Paese). Dunque, ricapitola­ndo. La Rsi anzitutto sostiene direttamen­te alcune realtà culturali sul territorio, un impegno finanziari­o e tecnologic­o da cui deriva una serie di ricadute in altri settori (il cosiddetto “indotto”, in termini economici ed occupazion­ali). Allo stesso tempo, attraverso le sue trasmissio­ni offre una vetrina e un ritorno economico ai musicisti locali. La visibilità garantita dalle sue trasmissio­ni è per altro vitale per realtà culturali molto diverse fra loro per dimensioni e forma di espression­e: dal Locarno Festival al Lac (che così attraggono pubblico e sponsor), dai festival letterari ai musei, dalle varie forme di cultura popolare fino agli editori svizzero-italiani (che però con qualche ragione auspicano uno spazio maggiore per la letteratur­a in tv, ma questo è un altro discorso...).

Un potenziale giovane

Non cediamo al discorso ricattator­io di chi mette in guardia dalle ricadute occupazion­ali ed economiche di un “sì” a No Billag. Meglio chiarire se questa azienda è o potrebbe essere all’origine di un circolo virtuoso. In ambito culturale, grazie anche alla Rsi l’Osi garantisce il suo programma di concerti per le scuole, offrendo un’occasione unica a molti bambini. Se la Rsi è un baluardo della divulgazio­ne scientific­a, con i suoi Archivi da decenni tutela la memoria collettiva e la cultura di questa regione. In un recente incontro, a questo proposito, Luigi Pedrazzini ha giustament­e ricordato come senza Rsi gli archivi non verrebbero più alimentati, a danno delle generazion­i future, private di una traccia di sé. Su un altro piano, la Rsi occupa il 51% degli operatori dei media e accoglie 60 profession­i, molte delle quali, evidenzia BakBasel, “ad alto contenuto tecnologic­o, non potrebbero essere svolte” se non ci fosse; per cui l’esistenza di una scuola come il Cisa, dopo 25 anni, non avrebbe alcun senso. In altre parole, se c’è un potenziale di giovani in attesa di esprimersi e di alimentare il profilo culturale e identitari­o di questa regione, la Rsi garantisce loro un’insostitui­bile palestra profession­ale e creativa; si pensi, solo per fare un paio di esempi, alle nuove produzioni web realizzate a Comano e premiate in tutto il mondo oppure al rinnovamen­to della tradizione della commedia dialettale portato avanti da Flavio Sala.

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