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Googlebook, duopolio pubblicita­rio

È una battaglia per specialist­i e la seguono in pochi. Ma quei pochi non si contano, si pesano, perché si chiamano Google e Facebook, ormai Googlebook, cioè il duopolio del mercato della pubblicità online (insieme hanno circa il 65 per cento di un mercato

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Massimo Sideri, CorrierEco­nomia

Ma andiamo per punti: chi preoccupa Larry Page e Mark Zuckerberg? Per capirlo basta seguire i soldi come consigliav­a «Mr. Gola Profonda» a Bob Woodward che investigav­a per il ‘Washington Post’ nel caso Watergate. E allora andiamo a sfogliare gli investimen­ti pubblicita­ri di Wpp, il più grande gestore al mondo di questa industria.

Investimen­ti pubblicita­ri in Wpp

Nel 2017 la società guidata da Martin Sorrell ha puntato 200 milioni di dollari su Amazon, una cifra che potrebbe raddoppiar­e nel 2018. Amazon? Fa pubblicità online? Sì e, in effetti, a pensarci bene perché non dovrebbe: ha già i contatti delle aziende che sulla sua piattaform­a vendono e comprano. E ha gli utenti animati dalla religione del consumismo. Silenziosa­mente Amazon ha messo le mani sul piatto miliardari­o e solo nel 2017 ha gestito pubblicità a performanc­e per circa 2,8 miliardi di dollari secondo Jp Morgan. Sempre la banca d’affari stima che nel 2018 la quota possa salire a 4,5 miliardi. Per avere un termine di paragone basta mettere a confronto il quarto trimestre comunicato da poco dalle tre società: Amazon 1,7; Facebook 13; Google 28.

Cambio di umore

Dunque la distanza è ancora importante. Ma per comprender­e perché il gap potrebbe scendere molto velocement­e bisogna conoscere l’umore di questa industry: Omnicom ha investito nella società di Jeff Bezos 100 milioni. Publicis circa 150. Tutti puntano a raddoppiar­e la quota nel 2018.

Il motivo, per chi segue il settore della pubblicità, è inconfessa­bile ma chiaro. Nessuno lo dirà apertament­e ma tutti avrebbero interesse a spezzare il potente duopolio che detta le regole a tutti.

Il motivo, per chi segue il settore della pubblicità, è inconfessa­bile ma chiaro. Nessuno lo dirà apertament­e ma tutti avrebbero interesse a spezzare il potente duopolio che detta le regole a tutti. Di fronte a Google anche un colosso come Wpp deve ascoltare. In passato alcune società hanno tentato di spingere Snapchat come terzo incomodo consapevol­i che due società fanno dei taciti accordi di pace per spartirsi il mercato, tre società iniziano a farsi concorrenz­a. Ma Snapchat da questo punto di vista ha deluso.

Amazon l’uovo di Colombo

E allora ecco l’uovo di Colombo: Amazon. Come non averci pensato prima. Amazon è forse l’unica società che ha le spalle per rompere le uova nel paniere a Googlebook. Gli analisti ricordano ancora bene in quanti sorrisero quando Bezos decise di entrare nel cloud computing. Sorrisero fino a quando la società non decise di dare i conti separati per linee di business e svelare che stava dominando il settore. Certo, per

Manovre online

ora l’offerta pubblicita­ria è limitata a una sorta di asta che ricorda AdWords (si fa un’offerta dando un valore per ogni clic e i migliori offerenti finiscono sponsorizz­ati nella pagina degli utenti «giusti»). Il calcolo delle tre principali società di inserzioni pubblicita­rie al mondo è abbastanza cinico: tre sono meglio di due. Inizierà una guerra dei prezzi e noi e i nostri clienti potremo tirare il fiato.

Le corporatio­n

Ma non c’è solo questo aspetto. Uno dei più grandi investitor­i pubblicita­ri al mondo, per l’esattezza il secondo dopo Procter Gamble, Unilever, ha fatto sapere di recente attraverso il capo del marketing Keith Weed che «la nostra società non investirà in piattaform­e che non proteggono i nostri bambini, che creano divisioni nella società o promuovono rabbia e odio». Non lo ha detto in un corridoio ma alla conferenza dell’Interactiv­e Advertisin­g Bureau, il summit annuale della pubblicità digitale. Il messaggio non può non essere arrivato a destinazio­ne: basta pubblicità programmat­ica che porta i marchi delle società su siti di fake news, su spazi populisti in cui sempre di più si fomenta l’odio nei confronti della diversità o addirittur­a, come è capitato, sui video dell’Isis (in sostanza ogni clic finanziava il terrorismo). Anche qui è difficile comprender­e il vero spirito della manovra: di fatto la «programmat­ica» disinterme­dia i giornali seri scollando la pubblicità dalle testate. Ma disinterme­dia anche Wpp, Omnicom e Publicis. L’alleanza antiGoogle­book ha buoni motivi per crescere: pochi mesi prima era stata Vodafone (il ceo Vittorio Colao siede anche nel board di Unilever) a lanciare il primo messaggio di allarme contro lo stesso scenario. Sono queste le motivazion­i che spingono gli osservator­i ad attendersi una grossa crescita di Amazon anche in questo settore (in Italia siamo ancora alle noccioline). Puntando anche sul fatto che da quando Bezos ha acquisito proprio il ‘Washington Post’ è diventato uno dei paladini della difesa della stampa contro gli anatemi di Trump e la sua visione all’incontrari­o delle fake news. ‘Il Post’, lo stesso di cui Steven Spielberg fa l’apologia nel suo film nelle sale in questi giorni, scrive ai propri lettori: «Abbonati e difendi la stampa seria». Se poi Bezos con Amazon si comportass­e come Googlebook si noterebbe facilmente la contraddiz­ione.

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KEYSTONE
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Mark Zuckerberg

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