laRegione

Il tribunale giudicato

Il principale nodo nei negoziati per un accordo quadro con l’Ue riguarda la risoluzion­e delle controvers­ie. Per sottrarsi al diktat politico dei ‘giudici stranieri’, il Consiglio federale ora ‘abbandona’ l’opzione Corte di giustizia europea e abbraccia la

- Di Stefano Guerra da Berna

«Nessuno vuole giudici stranieri», né la Svizzera né l’Ue, ha detto lunedì il ministro degli Esteri Ignazio Cassis. Il futuro (?) accordo quadro sulle questioni istituzion­ali tra Svizzera e Unione europea (cfr. scheda sotto) dovrà perciò prevedere un tribunale arbitrale indipenden­te per la soluzione delle vertenze tra i partner (cfr. ‘laRegione’, 6 marzo 2018). Rispetto alla soluzione prevista nel mandato negoziale adottato dal Consiglio federale nel dicembre 2013, a mente del governo elvetico la Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) avrebbe nel nuovo modello un ruolo per così dire sussidiari­o, in ogni caso più circoscrit­to, benché ancora tutto da definire/negoziare. Un tribunale arbitrale indipenden­te (con un giudice scelto dalla Svizzera, un altro dall’Ue e un terzo ‘neutrale’): l’opzione non è nuova. Il Dipartimen­to federale degli affari esteri (Dfae) l’aveva valutata già nel 2013. In un ‘non paper’, un rapporto non ufficiale, elaborato dall’allora Segretario di Stato Yves Rossier assieme alla sua contropart­e presso l’Ue David O’Sullivan, il modello era però stato giudicato “molto complesso”. Non solo. La Cgue, stando a quanto ha riportato ieri la ‘Nzz’, lo avrebbe considerat­o non conforme ai trattati dell’Unione. Ma in questi anni ne è passata di acqua sotto i ponti. Oggi Christa Tobler, ordinaria di diritto europeo all’Europainst­itut dell’Università di Basilea, reputa che la Corte di giustizia dell’Unione europea e la stessa Ue siano pronte ad accettare una simile soluzione. Sempliceme­nte perché lo hanno già fatto: firmando l’accordo di associazio­ne tra l’Unione e l’Ucraina, in vigore dal 1° settembre 2017.

“Finalmente un piano nella politica europea”, ha titolato la ‘Nzz.’ Professore­ssa Tobler, concorda?

Il Consiglio federale aveva già un piano, ma adesso propone una variante che potrebbe essere accettabil­e anche per il Parlamento e la popolazion­e: un tribunale arbitrale, nel quale anche la Svizzera sarebbe rappresent­ata. La novità è che questo tribunale arbitrale decide pure sulla vertenza in sé, non soltanto sulla proporzion­alità di eventuali misure compensati­ve [di ritorsione, ndr].

Nessun pacchetto ‘Bilaterali III,’ un accordo quadro che ‘coprirebbe’ solo cinque delle 120 intese settoriali esistenti, la volontà di negoziare un solo ulteriore accordo, misure d’accompagna­mento alla libera circolazio­ne non in discussion­e. È una buona idea limitare a tal punto la ‘massa negoziale,’ come fa il Consiglio federale?

Un mandato negoziale riflette sempre i propri desideri. Dopodiché bisogna vedere che cosa effettivam­ente si può raggiunger­e. Lo stesso vale per i limiti, le ‘linee rosse’, che vengono fissati. A volte si raggiungon­o compromess­i che alla fine rispettano ancora questi limiti.

Il tribunale arbitrale proposto dal Consiglio federale dovrebbe decidere, in caso di controvers­ia riguardant­e un determinat­o accordo, qual è il diritto in gioco: svizzero, europeo o comune (o ‘sui generis’). È realistico pensare che Ue e Cgue deleghino tale competenza a una simile istanza, che non la vogliano tenere per sé?

A mia conoscenza una clausola identica esiste nell’accordo tra Ue e Ucraina. Pertanto: sì, è realistico. Il ‘modello Ucraina’ prevede che, nel caso di una controvers­ia che non possa essere risolta di comune accordo, si faccia capo a un tribunale arbitrale. Se in gioco vi è il diritto europeo contenuto in un determinat­o accordo, la corte arbitrale chiede aiuto alla Cgue per interpreta­rlo. La decisione sulla controvers­ia resta però appannaggi­o del tribunale arbitrale. Questo farebbe anche parte di un nuovo modello svizzero.

La soluzione tribunale arbitrale delineata dal Consiglio federale può essere una buona base per i negoziati dei prossimi mesi?

A mio avviso sì, perché anche l’Ue si è già espressa in questo senso. E, come detto, anche per ragioni psicologic­he: a decidere è un tribunale nel quale noi saremmo rappresent­ati con una nostra o un nostro giudice.

Gli aiuti di Stato sono un altro ostacolo nei negoziati.

Sono un grosso ostacolo. Il Consiglio federale vorrebbe regolare la questione nei singoli accordi interessat­i, ad esempio in quello sull’elettricit­à, non nell’accordo istituzion­ale. Del resto abbiamo già regole sugli aiuti di Stato in svariati accordi con l’Ue: libero scambio (non è però interessat­o dai negoziati sull’accordo quadro), trasporti terrestri, trasporto aereo.

Cosa ci rimettereb­be la Svizzera se alla fine non dovesse riuscire a firmare un accordo quadro con l’Ue?

Non soltanto non potrebbe sottoscriv­ere nuovi accordi di accesso al mercato unico europeo (quello sull’elettricit­à, ad esempio); metterebbe anche in pericolo il buon funzioname­nto di quelli esistenti. Inoltre, l’Ue potrebbe adottare in altri ambiti misure spiacevoli per la Svizzera. Lo abbiamo visto di recente con il riconoscim­ento

limitato a un anno dell’equivalenz­a della regolament­azione svizzera sui mercati finanziari; e con la volontà di far dipendere un riconoscim­ento illimitato da progressi nei negoziati per l’accordo quadro sulle questioni istituzion­ali. Una mossa psicologic­amente imprudente, a mio avviso: ma dobbiamo conviverci. Il fatto che il nostro principale partner commercial­e, l’Ue, sia per certi versi più forte di noi, non è sempre facile.

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KEYSTONE Svizzera e Ue cercano un’altra porta d’entrata al complesso dossier (nel riquadro, Christa Tobler)

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