Il tribunale giudicato
Il principale nodo nei negoziati per un accordo quadro con l’Ue riguarda la risoluzione delle controversie. Per sottrarsi al diktat politico dei ‘giudici stranieri’, il Consiglio federale ora ‘abbandona’ l’opzione Corte di giustizia europea e abbraccia la
«Nessuno vuole giudici stranieri», né la Svizzera né l’Ue, ha detto lunedì il ministro degli Esteri Ignazio Cassis. Il futuro (?) accordo quadro sulle questioni istituzionali tra Svizzera e Unione europea (cfr. scheda sotto) dovrà perciò prevedere un tribunale arbitrale indipendente per la soluzione delle vertenze tra i partner (cfr. ‘laRegione’, 6 marzo 2018). Rispetto alla soluzione prevista nel mandato negoziale adottato dal Consiglio federale nel dicembre 2013, a mente del governo elvetico la Corte di giustizia dell’Unione europea (Cgue) avrebbe nel nuovo modello un ruolo per così dire sussidiario, in ogni caso più circoscritto, benché ancora tutto da definire/negoziare. Un tribunale arbitrale indipendente (con un giudice scelto dalla Svizzera, un altro dall’Ue e un terzo ‘neutrale’): l’opzione non è nuova. Il Dipartimento federale degli affari esteri (Dfae) l’aveva valutata già nel 2013. In un ‘non paper’, un rapporto non ufficiale, elaborato dall’allora Segretario di Stato Yves Rossier assieme alla sua controparte presso l’Ue David O’Sullivan, il modello era però stato giudicato “molto complesso”. Non solo. La Cgue, stando a quanto ha riportato ieri la ‘Nzz’, lo avrebbe considerato non conforme ai trattati dell’Unione. Ma in questi anni ne è passata di acqua sotto i ponti. Oggi Christa Tobler, ordinaria di diritto europeo all’Europainstitut dell’Università di Basilea, reputa che la Corte di giustizia dell’Unione europea e la stessa Ue siano pronte ad accettare una simile soluzione. Semplicemente perché lo hanno già fatto: firmando l’accordo di associazione tra l’Unione e l’Ucraina, in vigore dal 1° settembre 2017.
“Finalmente un piano nella politica europea”, ha titolato la ‘Nzz.’ Professoressa Tobler, concorda?
Il Consiglio federale aveva già un piano, ma adesso propone una variante che potrebbe essere accettabile anche per il Parlamento e la popolazione: un tribunale arbitrale, nel quale anche la Svizzera sarebbe rappresentata. La novità è che questo tribunale arbitrale decide pure sulla vertenza in sé, non soltanto sulla proporzionalità di eventuali misure compensative [di ritorsione, ndr].
Nessun pacchetto ‘Bilaterali III,’ un accordo quadro che ‘coprirebbe’ solo cinque delle 120 intese settoriali esistenti, la volontà di negoziare un solo ulteriore accordo, misure d’accompagnamento alla libera circolazione non in discussione. È una buona idea limitare a tal punto la ‘massa negoziale,’ come fa il Consiglio federale?
Un mandato negoziale riflette sempre i propri desideri. Dopodiché bisogna vedere che cosa effettivamente si può raggiungere. Lo stesso vale per i limiti, le ‘linee rosse’, che vengono fissati. A volte si raggiungono compromessi che alla fine rispettano ancora questi limiti.
Il tribunale arbitrale proposto dal Consiglio federale dovrebbe decidere, in caso di controversia riguardante un determinato accordo, qual è il diritto in gioco: svizzero, europeo o comune (o ‘sui generis’). È realistico pensare che Ue e Cgue deleghino tale competenza a una simile istanza, che non la vogliano tenere per sé?
A mia conoscenza una clausola identica esiste nell’accordo tra Ue e Ucraina. Pertanto: sì, è realistico. Il ‘modello Ucraina’ prevede che, nel caso di una controversia che non possa essere risolta di comune accordo, si faccia capo a un tribunale arbitrale. Se in gioco vi è il diritto europeo contenuto in un determinato accordo, la corte arbitrale chiede aiuto alla Cgue per interpretarlo. La decisione sulla controversia resta però appannaggio del tribunale arbitrale. Questo farebbe anche parte di un nuovo modello svizzero.
La soluzione tribunale arbitrale delineata dal Consiglio federale può essere una buona base per i negoziati dei prossimi mesi?
A mio avviso sì, perché anche l’Ue si è già espressa in questo senso. E, come detto, anche per ragioni psicologiche: a decidere è un tribunale nel quale noi saremmo rappresentati con una nostra o un nostro giudice.
Gli aiuti di Stato sono un altro ostacolo nei negoziati.
Sono un grosso ostacolo. Il Consiglio federale vorrebbe regolare la questione nei singoli accordi interessati, ad esempio in quello sull’elettricità, non nell’accordo istituzionale. Del resto abbiamo già regole sugli aiuti di Stato in svariati accordi con l’Ue: libero scambio (non è però interessato dai negoziati sull’accordo quadro), trasporti terrestri, trasporto aereo.
Cosa ci rimetterebbe la Svizzera se alla fine non dovesse riuscire a firmare un accordo quadro con l’Ue?
Non soltanto non potrebbe sottoscrivere nuovi accordi di accesso al mercato unico europeo (quello sull’elettricità, ad esempio); metterebbe anche in pericolo il buon funzionamento di quelli esistenti. Inoltre, l’Ue potrebbe adottare in altri ambiti misure spiacevoli per la Svizzera. Lo abbiamo visto di recente con il riconoscimento
limitato a un anno dell’equivalenza della regolamentazione svizzera sui mercati finanziari; e con la volontà di far dipendere un riconoscimento illimitato da progressi nei negoziati per l’accordo quadro sulle questioni istituzionali. Una mossa psicologicamente imprudente, a mio avviso: ma dobbiamo conviverci. Il fatto che il nostro principale partner commerciale, l’Ue, sia per certi versi più forte di noi, non è sempre facile.