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Tra dazi e ‘contro-dazi’

La tensione commercial­e tra Stati Uniti e Unione europea sta salendo

- Di Generoso Chiaradonn­a

All’origine ci sono gli screzi per i balzelli del 25% sull’acciaio importato negli Stati Uniti. Bruxelles mira alle moto, ai jeans e al whiskey americani.

Tutti li minacciano, ma fino a oggi nessuno li ha ancora introdotti formalment­e anche se l’intenzione di Donald Trump, di imporre dazi al 25% sulle importazio­ni di acciaio e del 10% sull’alluminio estero in entrata negli Stati Uniti, è ferma ed è stata ribadita più volte. E proprio questo proposito è all’origine delle dimissioni del suo consiglier­e economico Gary Cohn, ex banchiere di Goldman Sachs. La svolta protezioni­sta di Trump – del resto nota da tempo, almeno dalla campagna elettorale del 2016 svoltasi al motto di ‘America first!’ – non è piaciuta a uno degli economisti di fiducia della Casa Bianca che ha deciso di sbattere la porta. Ma le misure protezioni­ste chiamano per forza di cosa contromisu­re di natura analoga e contraria, anch’esse per ora solo annunciate. È il caso del pacchetto di ‘contro-dazi’ da 2,8 miliardi di euro che la Commission­e europea terrebbe nel cassetto pronta a tirarlo fuori al momento opportuno. Notizie riportate dalle principali testate europee (dal ‘Financial Times’, a ‘Il Sole 24 Ore’). La mossa Ue colpirebbe jeans, moto e whiskey provenient­i dagli Usa e non avrebbe bisogno

di vagli della Wto perché il valore (2,8 miliardi di euro) è la metà dell’export siderurgic­o europeo messo in discussion­e dalla Casa Bianca. Oltre a questi prodotti, l’Ue potrebbe ‘tassare’ anche le importazio­ni di mais, cosmetici, camicie e piccole imbarcazio­ni. Inoltre, Bruxelles si riserva un ricorso al Wto e altre azioni di salvaguard­ia per evitare che l’acciaio destinato

al mercato Usa invada l’Europa. In realtà più che il metallo europeo o cinese, a essere colpiti e maggiormen­te dai futuri dazi statuniten­si saranno le esportazio­ni di Canada e Messico, primi fornitori di acciaio degli Usa. La Svizzera, per ora, si tiene in disparte per quanto riguarda il contenzios­o commercial­e tra colossi. «Non è nella tradizione elvetica partecipar­e a ritorsioni su questi aspetti», afferma Luca Albertoni, direttore della Camera di commercio del Cantone Ticino. «Non possiamo escludere però che alcune aziende ticinesi e del resto della Svizzera possano vedersi inasprito l’accesso al mercato statuniten­se» precisa Albertoni ricordando che l’interscamb­io nel settore dell’acciaio tra Svizzera e Stati Uniti è comunque molto modesto. «Non si sa ancora se i dazi colpiranno il materiale grezzo in entrata negli Stati Uniti oppure i prodotti finiti e semilavora­ti in acciaio e in alluminio. Nel secondo caso delle ripercussi­oni negative sulle aziende svizzere potranno esserci. Non penso però che il Consiglio federale deciderà delle contromisu­re o si allineerà a quanto deciderà l’Unione europea», conclude Albertoni.

America first! non è solo uno slogan

La politica dei dazi invocata da Trump e tanto temuta all’estero è però coerente con la sua recente riforma fiscale. Sgravando la tassazione degli utili delle grandi imprese e incentivan­do le stesse a dirottare gli investimen­ti negli Usa (si ricorderà la ridda di dichiarazi­oni dell’autunno scorso dei big dell’auto benedicent­i gli sgravi e pronti ad aprire nuovi siti produttivi in America, ndr), i dazi non sono altro che lo strumento per catalizzar­e investimen­ti e consumi verso il mercato interno, evitando di ‘esportare’ reddito e occupazion­e all’estero. In parole più comprensib­ili: America first!

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KEYSTONE Il presidente statuniten­se Donald Trump

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