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Sei mesi in sella nel Sudamerica

La storia di Rachele Pawlowski: sei mesi in sella alla scoperta di Perù, Bolivia, Argentina e Cile La giovane di Rivera ha percorso in solitaria circa 7’000 chilometri e stasera racconterà la propria avventura al centro diurno del proprio paese

- Di Dino Stevanovic

Intervista alla 26enne Rachele Pawlowski di Rivera, protagonis­ta di un viaggio lungo circa 7’000 chilometri alla scoperta di una parte del continente e anche di sé stessa.

Felice, emozionata e soddisfatt­a. A quasi un anno di distanza dalla fine di quello che chiama il «mio» viaggio, Rachele Pawlowski – 26 anni di Rivera – è pronta a raccontare la grande avventura che ha vissuto in Sudamerica. Un anno, di cui la metà passato in Colombia partecipan­do a un progetto sociale e l’altra parte in sella alla sua bici per un viaggio straordina­rio, che stasera – grazie al sostegno della commission­e Cultura di Montecener­i – verrà presentato agli interessat­i.

Com’è nata l’idea di un viaggio così particolar­e?

I miei genitori si sono conosciuti in Bolivia. Ho sempre sentito parlare di questa cultura in casa. Poi, da piccola, sono stata con loro per un mese alla scoperta dei luoghi dove si sono incontrati. In questo senso, il Sudamerica mi ha sempre accompagna­ta fin da bambina.

Tutto è partito dalla Colombia...

Sì, sono stata sei mesi a Cali, dove ho partecipat­o a un progetto di integrazio­ne lavorativa per persone con handicap. È stato interessan­te poter mettere in pratica i miei studi (pedagogia curativa, ndr) . Sono stata ospite di una famiglia del posto e ho proprio potuto vivere la loro quotidiani­tà. Sono stata accolta a braccia aperte, per me è stato un grande insegnamen­to.

E poi, un mese in Ecuador.

È stata la parte del viaggio intesa proprio come vacanza. L’idea iniziale era visitare diversi Paesi con lo zaino in spalla ed è quel che ho fatto in Ecuador, spostandom­i in bus, dormendo negli ostelli e incontrand­o molti altri viaggiator­i. Lì però ho capito che non desideravo fare altri cinque mesi così: mi mancava qualcosa.

Che cosa?

Seguivo inevitabil­mente le rotte degli altri turisti, parlavo quasi solo inglese. Non era quello che volevo. Desideravo imparare lo spagnolo e conoscere davvero la realtà di quei Paesi. Quindi, nel giro di una settimana ho comprato la bici e sono partita, senza un piano fisso (ride, ndr).

Un’avventura non pianificat­a. Hai mai avuto paura? In fondo eri sola...

In realtà no. Ho avuto paura dei cani randagi (ride, ndr), mai delle persone. Da un lato razionale è vero che ci sono più rischi per una ragazza che viaggia sola, ma d’altro canto le persone sono anche più propense a darti una mano. E anche per l’aiuto tecnico, se qualcosa non andava con la bici, ho sempre trovato qualcuno disposto ad aiutarmi. La spontaneit­à è stata forse l’aspetto più bello del viaggio.

Nessun vero disagio quindi?

No davvero. I sudamerica­ni sono molto ospitali e orgogliosi: ci tenevano non solo ad aiutarmi ma anche a mostrarmi il loro Paese per fare bella figura. Ci sono chiarament­e delle precauzion­i da prendere, non ero in giro allo sbaraglio: ad esempio quando dormivo in tenda mi posizionav­o vicino alle case. È importante godere di tutto quel che può offrire un Paese, ma bisogna farlo con testa.

È stata una prova impegnativ­a dal punto di vista fisico?

È strano da dire, ma il ciclismo non mi ha mai davvero attirato. Una buona condizione di base però penso ci voglia. Nei momenti difficili pensavo alla famiglia.

E quali sono i posti che ti hanno colpito maggiormen­te?

Sicurament­e Cali mi è rimasta tanto nel cuore. È la capitale colombiana della salsa – che adoro ballare –, la gente è molto cordiale e leggera di spirito. E poi la Patagonia: una natura fortissima, esagerata, bellissima. Sono una grande amante delle montagne, che lì non mancano. La cosa interessan­te è che spostandos­i così lentamente ci si rende conto di quanto siano arbitrarie le frontiere. Ogni Paese ha certo le sue caratteris­tiche, ma le cose cambiano in modo graduale.

Dopo un anno così avventuros­o, com’è stato il rientro? Che bilancio trai dall’esperienza?

Quella di tornare è stata una scelta molto consapevol­e. È stato meraviglio­so, ma avevo bisogno di crescere a livello profession­ale, di un po’ di stabilità. Mi ha fatto crescere come persona: ho acquisito fiducia in me e anche negli altri.

Un’ultima domanda: la bici, la protagonis­ta del viaggio, che fine ha fatto?

L’ho venduta per fare una donazione a chi lottava per spegnere i grossi incendi in Cile (nel gennaio 2017, ndr). Sarebbe stata un bel ricordo, ma ho un diario.

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‘Nei momenti difficili pensavo alla famiglia’
‘Durante il viaggio ho acquisito fiducia in me e negli altri’ ‘Nei momenti difficili pensavo alla famiglia’
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