Il governo, non al voto obbligatorio
Respinta l’idea di chiamare il popolo a decidere su ogni spesa che supera un certo limite
Il tema è apparentemente “tecnico”, ma in realtà va ben oltre la questione posta all’attenzione del popolo. Deve esserci una volontà specifica nel proporre, abrogare o accogliere una qualsivoglia spesa finanziaria o è più corretto prevedere un obbligo? Con quale di queste scelte si rafforza la partecipazione democratica e deliberativa popolare? Se ne parlerà in Ticino nei prossimi mesi, grazie all’iniziativa popolare “Basta tasse e basta spese” che chiede l’introduzione del referendum finanziario obbligatorio nella Costituzione cantonale ticinese. Scelta nient’affatto estemporanea considerato che è già prassi in alcuni cantoni. E però... non priva di rischi. Questo almeno il parere del Consiglio di Stato che ieri ha reso pubblica la propria posizione – pubblicandola nell’apposito messaggio al Gran Consiglio – sul progetto presentato oltre un anno fa da Sergio Morisoli, primo firmatario. Il testo dell’iniziativa chiede in buona sostanza che siano da sottoporre obbligatoriamente a voto popolare nuove leggi e decreti – o anche spese già in corso – che superano un dato limite finanziario, sia per le uscite ricorrenti sia per gli investimenti. A detta del governo questo strumento non garantisce “un miglior controllo delle finanze cantonali”. Chiedere ai cittadini di votare su ogni data spesa anche se questa non suscita “un reale dibattito” nella società, potrebbe rivelarsi uno spreco di risorse, “nonché una banalizzazione del voto popolare”. Tutto questo, precisa il governo, «non significa che il Consiglio di Stato teme il responso democratico di uno scrutinio popolare ma che, al contrario, auspica che il processo decisionale tragga origine da una chiara volontà popolare, espressa attraverso l’abituale canale del referendum finanziario facoltativo”. Detta altrimenti, secondo il governo è assai più costruttivo che si chieda ai cittadini ogni volta, caso per caso, un impegno diretto – firmando – per mettere in discussione o meno una scelta finanziaria. E se ci saranno le firme necessarie, si andrà al voto popolare. Non ultimo, l’esecutivo è dell’idea che il carattere obbligatorio allo scrutinio popolare comporterebbe “il rischio di complicare oltremodo la gestione finanziaria”.