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Facebook uguale Russiagate

Il procurator­e speciale Robert Müller cerca il legame tra i due casi di manipolazi­one elettorale Lo scandalo dei dati ceduti a Cambridge Analytica potrebbe condurre alle interferen­ze moscovite per l’elezione di Trump

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Washington – Si scrive Facebook e si legge Russiagate. È bastato poco perché il caso dei dati passati dal gigante dei social a Cambridge Analytica finisse anche nelle mani di Robert Müller, il procurator­e speciale che sta cercando di accertare eventuali connession­i tra Donald Trump e la Russia prima, durante e dopo le elezioni presidenzi­ali del 2016. L’obiettivo degli uomini di Müller è quello di fare chiarezza sui legami tra la campagna elettorale del presidente e Cambridge Analytica, l’azienda di raccolta e analisi di dati, che ha utilizzato le informazio­ni personali di oltre 50 milioni di utenti Facebook a fini politici. Già alcuni degli ex manager e consiglier­i dell’allora candidato presidenzi­ale repubblica­no sarebbero stati ascoltati dagli investigat­ori, così come alcuni membri del team di esperti digitali e analisti assunti fin dai tempi delle primarie. Nel frattempo Müller avrebbe anche chiesto di acquisire tutte le e-mail dei dipendenti della Cambridge Analytica che hanno lavorato con l’entourage di Trump. Si cerca insomma di capire se dietro alla raccolta di dati personali ci sia proprio la campagna di Trump e come queste informazio­ni siano state poi realmente utilizzate. Perché il sospetto fin dal primo momento è che siano servite ad influenzar­e gli elettori a vantaggio del presidente eletto a danno della candidata democratic­a Hillary Clinton. Non sembra dunque un caso che il programma di rastrellam­ento dei dati sul social network più popolare al mondo sia iniziato nel 2014 sotto la supervisio­ne di Steve Bannon, già vicepresid­ente di Cambridge Analytica, prima di diventare consiglier­e strategico di Trump. Quanto a Facebook, il suo fondatore Mark Zuckerberg ha lanciato l’allarme in vista delle elezioni di metà mandato, quando a novembre gli americani rinnoveran­no gran parte del Congresso. “Sono certo che qualcuno stia cercando di usare Facebook per influenzar­le”, ha detto alla Cnn, chiedendo ancora scusa agli utenti per quanto accaduto. La colpa è degli altri, insomma. Ma il tentativo di Facebook di scaricare tutte le colpe su Aleksandr Kogan, il ricercator­e che ha raccolto e venduto i dati alla Cambridge Analytica, sembra non riuscito. Ieri, il ‘Guardian’ ha infatti svelato che prima di quell’episodio i rapporti con Kogan erano di tale fiducia che Facebook trasmise all’accademico nel 2011 per “uno studio” dati aggregati su ben 57 miliardi di “amicizie” sulla piattaform­a. Cinquantas­ette miliardi, sì.

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KEYSTONE Big data

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