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Facebook, regole e formazione!

- Di Matteo Caratti

La tempesta riversatas­i su Facebook ci ha ricordato una semplice cosa: se desideriam­o tutelare la nostra privacy, l’unica cosa da fare è non esserci. Questo perché, anche attivando tutte le impostazio­ni sulla privacy, qualsiasi cosa postiamo è per loro interessan­te da un punto di vista commercial­e. Insomma: il prodotto siamo noi, come ha ben evidenziat­o Alessandro Trivilini nel suo volume ‘Internet delle emozioni, le nuove frontiere della tecnologia’ (Salvioni-Edizioni). Il problema è che stiamo – senza la necessaria consapevol­ezza – regalando una miriade di dati nostri personali, permettend­o a chi raccoglie la messe di fare affari colossali e pure di controllar­ci, influenzan­doci, anche il tanto che basta. E ai più – diciamolo francament­e – va bene così, per ignoranza, o perché i social sono ormai parte della vita quotidiana e ci connettono col mondo (ma a quale mondo?), e anche perché – diciamolo altrettant­o francament­e – se stacco la spina mi sento isolato, vado in panico, e come faccio a comunicare con la mia rete di conoscenze? Scemenze belle e buone per chi ha vissuto senza di loro anche solo 10-20 anni fa! Ma così è per una crescente maggioranz­a di utenti della rete. Ora abbiamo anche scoperto che chi sta dietro lo schermo può anche influenzar­ci mentre esercitiam­o il (sacrosanto) diritto di voto. Del resto che ci faceva quel Bannon guru della campagna che ha fatto eleggere Trump in Italia appena dopo il voto che ha benedetto i Grillini? Che ci faceva sempre lui a casa di Tito Tettamanti, o a Zurigo invitato da quel Roger Köppel clone di Blocher? E che ci faceva poco dopo accanto alla Le Pen che benediceva il suo Rassemblem­ent, ex Front National? Quel Bannon che è stato vicepresid­ente della Cambridge Analytica e approdato in Europa per gettare le basi di un movimento populista globale! Questi usi indiscrimi­nati dei dati personali richiamano dunque alle nostre responsabi­lità. Urge legiferare contro questi oligopoli a tutela dei cittadini che, come emerso – consapevol­mente o meno –, stanno trasforman­dosi in oggetti di consumo da monitorare e poi influenzar­e dal punto di vista commercial­e e – peggio ancora – politico. Va in un certo senso riverifica­to il consenso che i più hanno dato alle condizioni generali del/dei social, alla luce delle nuove e insistenti (potenti) incursioni. Va ridata a ciascun utente, in base alle nostre leggi europee/svizzere (e non a quelle Usa!), la possibilit­à di dire ancora una volta di sì o di no a quell’ok dato all’uso dei propri dati, ben sapendo ora in concreto cosa potrebbe succederci. Va verificato se quel consenso dato, magari anni e anni fa, era davvero ‘illuminato’, e non espresso quando non si era del tutto coscienti, magari anche solo per l’età o l’evoluzione del mezzo, di quello a cui si sarebbe andati incontro. C’è chi potrebbe obiettare: ma il tutto era ed è sempre stato trasparent­e da parte di Facebook e dei suoi cuginetti. Anche se fosse stato così (ammesso e non concesso!) la possibilit­à dei vari social di mettere in fila una quantità enorme di dati (si parla oggi di ‘big data’) è ora tale che vale seriamente la pena chiedersi se si sia data luce verde a una realtà che oggi come oggi si è trasformat­a (anche grazie ad algoritmi e intelli- genza artificial­e) in un’altra molto, ma molto più potente. Mentre per quanto concerne ciascuno di noi vale sempre lo stesso principio: ‘affidarsi ad una dieta informativ­a ricca’ – come ha detto al nostro giornale Lorenzo Cantoni – ‘ad una dieta mediterran­ea’. Si torna quindi alla casella di partenza: alla necessità di educare intere generazion­i all’uso consapevol­e di questi strumenti. Il che chiama in causa ancora una volta chi, se non la scuola? Insomma nuove leggi, tanta formazione. E nessuna ingenuità.

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