La svolta ancora non c’è stata
Si può invocare la malasorte, ci si può scagliare contro l’incertezza di Kiassumbua – papera è stavolta un termine esagerato – ma resta il fatto che se svolta avrebbe dovuto essere – dopo sei sconfitte di fila e l’avvicendamento sulla panchina tra Tami e Abascal –, svolta non c’è stata. Se ne è avvertito qualche segnale, quando Junior di testa ha fulminato il pessimo Faivre (la sua sì che è una papera, in uscita), ma la recita del Lugano è rimasta sotto il livello di agonismo e intensità che ci avrebbe autorizzato a usare il termine “svolta” in sede di analisi. Il pareggio casalingo contro una squadra che ha tirato in porta una sola volta (anzi due, nell’azione del gol), ha concesso una rete in avvio di confronto, a Janko di centrare la traversa ancora nel primo tempo, equivale a una sconfitta. Non basta che ci sia più di un motivo di rammarico sul conto del Lugano per catalogarne l’1-1 di Cornaredo come un buon risultato. L’affare, semmai, lo ha fatto il Thun, modesto e inconcludente ma capace di tornarsene a casa con il quarto risultato utile di fila e con un punticino che non è caduto dal cielo, bensì è stato conquistato sul campo di una rivale diretta in una lotta contro la retrocessione che è diventata un vero rebus di complicata soluzione. Lugano-Thun è una di quelle partite che i bianconeri, a maggior ragione sotto la spinta emotiva di un cambio di allenatore convinto che i suoi giocatori avessero “gli occhi della tigre”, avrebbero dovuto vincere. Ne è uscito un pareggio, tra segnali incoraggianti e vecchi difetti. Tra i quali, un furore agonistico e un’efficacia decisamente perfettibili.