laRegione

Una sentenza che riguarda tutti

- Di Andrea Manna

All’indomani della Giornata mondiale della libertà di stampa, viene pronunciat­a in Svizzera una sentenza che rafforza questa libertà. È un verdetto scolpito nella pietra – inattaccab­ile, riteniamo – quello con cui ieri a Bellinzona il giudice della Pretura penale Siro Quadri ha assolto i quattro giornalist­i del ‘Caffè’ denunciati dalla Clinica Sant’Anna, che considerav­a diffamator­i i loro articoli nei quali sollevavan­o anche interrogat­ivi sull’organizzaz­ione interna e sull’agire della struttura sanitaria privata in relazione al caso Rey (l’amputazion­e, per errore, di entrambi i seni a una paziente). I colleghi hanno impugnato i decreti d’accusa firmati dal pp Antonio Perugini, che aveva dato seguito alla querela della clinica sottocener­ina, e hanno ottenuto ragione. La sentenza appena emessa non riguarda però solo la nostra categoria. Riguarda tutti i cittadini. Che in democrazia hanno il sacrosanto diritto di essere informati su tutto ciò che attiene a temi di interesse pubblico – e la sanità è uno di questi – affinché possano farsi un’opinione per poi dibattere e decidere con cognizione di causa. I mass media, dopo aver verificato la veridicità di quanto appreso, hanno allora il dovere di riferire, ponendo pure quesiti e continuand­o a porli sino a quando non avranno ricevuto una risposta. Eloquenti le parole del pretore: «In casi di interesse pubblico la stampa deve informare». Deve. La stampa come il cane da guardia: il cane da guardia della democrazia. L’immagine non è nuova, ma non accade spesso di sentire un giudice affermare che «è meglio accettare che un cane da guardia abbai per niente, piuttosto che non abbai affatto» e non avverta così del pericolo. Il recentissi­mo verdetto è importante anche in prospettiv­a, se pensiamo per esempio alla vicenda Argo 1, un dossier politicame­nte scottante, tuttora aperto. È grazie al salutare ‘accaniment­o’ giornalist­ico se l’opinione pubblica ha saputo di alcuni episodi istituzion­almente non edificanti. La libertà dei media è sancita dalla Costituzio­ne federale. Ma i tentativi dell’autorità e dei cosiddetti poteri forti di anestetizz­are l’informazio­ne quando va contro i rispettivi interessi sono presenti anche nelle democrazie avanzate. Per picconare la libertà di espression­e non è necessario imprigiona­re i giornalist­i scomodi, come avviene nelle dittature: basta minacciare denunce o infliggere sanzioni pecuniarie, anche se sospese condiziona­lmente. Denunce e multe per intimorire il cronista, perché desista dall’indagare, dall’approfondi­re. Con una conseguenz­a nefasta per l’intera collettivi­tà: l’autocensur­a. Insomma, la libertà di stampa non è scontata neppure in una società liberale e democratic­a. Benissimo ha fatto quindi il giudice Quadri a confermare un principio costituzio­nale, applicando­lo – con solide argomentaz­ioni – a un caso concreto. La sua sentenza, inoltre, ridà vigore e credibilit­à al giornalism­o d’inchiesta, documentat­o. E non è cosa da poco nell’era della comunicazi­one sovente non verificata dei social. Il valore del giornalism­o d’inchiesta ieri è stato riconosciu­to.

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