Tante domande, tutte legittime
Prosciolti dal reato di diffamazione i quattro giornalisti del ‘Caffè’ denunciati dalla Clinica Sant’Anna
Assolti ieri su tutta la linea dal giudice Siro Quadri: ‘Temi di cui i media devono occuparsi’
Assolti a suon di libertà di stampa. Prosciolti per aver fatto (bene) il loro lavoro, per aver posto domande e cercato risposte, a nome di una collettività che ha il legittimo interesse di sapere come sia possibile che in Svizzera, in una clinica privata, si operi la paziente sbagliata. La sentenza del giudice Siro Quadri scagiona dal reato di diffamazione tre giornalisti del ‘Caffè’ (Libero D’Agostino, Stefano Pianca e Patrizia Guenzi) e il direttore Lillo Alaimo, prosciolto anche dal reato di concorrenza sleale. Imputazioni configurate nei decreti d’accusa del procuratore pubblico Antonio Perugini su querela della Clinica Sant’Anna di Sorengo. Il caso è noto: l’amputazione per errore di entrambi i seni alla paziente sbagliata. Il bisturi è in mano al dottor Piercarlo Rey, l’intervento avviene l’8 luglio 2014. Il settimanale ‘Il Caffè’ tra maggio e luglio 2016 dedica una serie di approfondimenti volti a chiarire, o a tentare di chiarire, se anche la clinica abbia delle responsabilità nel terribile equivoco. L’inchiesta giornalistica si basa sul rapporto della Commissione di vigilanza sanitaria che ha nel frattempo provveduto a verificare operato del medico e organizzazione dell’ospedale, evidenziando una situazione ad “alto rischio di confusione”. Altroché diffamazione, per il pretore Quadri «il giornale a quel momento era del tutto legittimato a interrogarsi sul caso». In primis perché l’interesse pubblico che motiva la pubblicazione di ogni genere di notizia era più che palese. «La salute pubblica e la corretta gestione della salute dei cittadini è una tematica di estremo interesse – rileva Quadri dando motivazione orale (e appassionata) della sentenza – e di cui i media devono certamente interessarsi, proprio perché in gioco vi è la salute e la sicurezza dei cittadini, oltre che ingenti impegni finanziari». Lo scambio di pazienti in una clinica svizzera «è oggettivamente un problema grave, non solo per il medico, ma anche per la struttura che lo ha ospitato». Per cui si giustificavano approfondimenti sulla «struttura sanitaria», i «suoi controlli», le «sue misure di sicurezza».
Un errore ‘allucinante’
«Non si può nella fattispecie ignorare che l’errore commesso è talmente impensabile da averlo reso allucinante – rincara Quadri –. La stampa non può non occuparsi di un evento di questo tipo, e ciò indipendentemente dalle persone a cui verranno accollate le responsabilità amministrative o penali». Nel frattempo (settembre 2016 e maggio 2017) sono stati infatti emessi decreti di abbandono sia nei confronti della clinica che di altri operatori, mentre il processo a carico del dottor Rey si svolgerà a giugno. «Ma dobbiamo valutare quello che i giornalisti potevano pensare al momento della pubblicazione», fa presente a più riprese il giudice. Oltre a ciò che sapevano: «Erano informati quasi quanto le parti – valu- ta il giudice –. Contrariamente a quanto stabilito dal procuratore pubblico, ‘Il Caffè’ ha bene analizzato la documentazione pervenuta in suo possesso e ha opportunamente tratto le sue domande. E lo ha fatto senza sostituirsi all’autorità giudiziaria». Anche quando, nello spulciare la legge sanitaria, ha ravvisato potenziali conflitti sull’obbligo di segnalazione dell’errore al Ministero pubblico. Il giornale «era del tutto legittimato a chiedersi se il dovere di informare la paziente competeva anche alla clinica». Di più: «Non si può e non si poteva all’epoca non dedurre che Rey ha sì preso le decisioni sbagliate, ma anche che quell’errore si è purtroppo protratto nei tempi e nessuno ha fatto in modo di migliorare la situazione». Al settimanale «bisogna riconoscere che quando la verità è saltata fuori lo ha precisato», conformemente ai principi deontologici, che prevedono pure (come peraltro fatto) di raccogliere il parere di tutti gli attori coinvolti. «Non posso seguire i decreti d’accusa – conclude Quadri citandone dei passaggi –. Non posso, per lo meno in base al principio ‘in dubbio pro reo’, dire che i giornalisti hanno “esagerato l’importanza di singoli elementi”, “suggerito nessi di causalità non provati”, “reso illegalmente sospette determinati persone”, “suscitato dubbi malevoli”, “estrapolato ad arte da atti di inchieste in corso suscitando dubbi sulla serietà di chi ha lavorato in quel contesto”. Non posso neanche dire che hanno ricorso a un “mix di titolazioni” e immagini volte “a esasperare i fatti”. È lo stile del ‘Caffè’, piaccia o meno. Però la tragedia si è consumata».