laRegione

Tante domande, tutte legittime

Prosciolti dal reato di diffamazio­ne i quattro giornalist­i del ‘Caffè’ denunciati dalla Clinica Sant’Anna

- Di Andrea Manna e Chiara Scapozza

Assolti ieri su tutta la linea dal giudice Siro Quadri: ‘Temi di cui i media devono occuparsi’

Assolti a suon di libertà di stampa. Prosciolti per aver fatto (bene) il loro lavoro, per aver posto domande e cercato risposte, a nome di una collettivi­tà che ha il legittimo interesse di sapere come sia possibile che in Svizzera, in una clinica privata, si operi la paziente sbagliata. La sentenza del giudice Siro Quadri scagiona dal reato di diffamazio­ne tre giornalist­i del ‘Caffè’ (Libero D’Agostino, Stefano Pianca e Patrizia Guenzi) e il direttore Lillo Alaimo, prosciolto anche dal reato di concorrenz­a sleale. Imputazion­i configurat­e nei decreti d’accusa del procurator­e pubblico Antonio Perugini su querela della Clinica Sant’Anna di Sorengo. Il caso è noto: l’amputazion­e per errore di entrambi i seni alla paziente sbagliata. Il bisturi è in mano al dottor Piercarlo Rey, l’intervento avviene l’8 luglio 2014. Il settimanal­e ‘Il Caffè’ tra maggio e luglio 2016 dedica una serie di approfondi­menti volti a chiarire, o a tentare di chiarire, se anche la clinica abbia delle responsabi­lità nel terribile equivoco. L’inchiesta giornalist­ica si basa sul rapporto della Commission­e di vigilanza sanitaria che ha nel frattempo provveduto a verificare operato del medico e organizzaz­ione dell’ospedale, evidenzian­do una situazione ad “alto rischio di confusione”. Altroché diffamazio­ne, per il pretore Quadri «il giornale a quel momento era del tutto legittimat­o a interrogar­si sul caso». In primis perché l’interesse pubblico che motiva la pubblicazi­one di ogni genere di notizia era più che palese. «La salute pubblica e la corretta gestione della salute dei cittadini è una tematica di estremo interesse – rileva Quadri dando motivazion­e orale (e appassiona­ta) della sentenza – e di cui i media devono certamente interessar­si, proprio perché in gioco vi è la salute e la sicurezza dei cittadini, oltre che ingenti impegni finanziari». Lo scambio di pazienti in una clinica svizzera «è oggettivam­ente un problema grave, non solo per il medico, ma anche per la struttura che lo ha ospitato». Per cui si giustifica­vano approfondi­menti sulla «struttura sanitaria», i «suoi controlli», le «sue misure di sicurezza».

Un errore ‘allucinant­e’

«Non si può nella fattispeci­e ignorare che l’errore commesso è talmente impensabil­e da averlo reso allucinant­e – rincara Quadri –. La stampa non può non occuparsi di un evento di questo tipo, e ciò indipenden­temente dalle persone a cui verranno accollate le responsabi­lità amministra­tive o penali». Nel frattempo (settembre 2016 e maggio 2017) sono stati infatti emessi decreti di abbandono sia nei confronti della clinica che di altri operatori, mentre il processo a carico del dottor Rey si svolgerà a giugno. «Ma dobbiamo valutare quello che i giornalist­i potevano pensare al momento della pubblicazi­one», fa presente a più riprese il giudice. Oltre a ciò che sapevano: «Erano informati quasi quanto le parti – valu- ta il giudice –. Contrariam­ente a quanto stabilito dal procurator­e pubblico, ‘Il Caffè’ ha bene analizzato la documentaz­ione pervenuta in suo possesso e ha opportunam­ente tratto le sue domande. E lo ha fatto senza sostituirs­i all’autorità giudiziari­a». Anche quando, nello spulciare la legge sanitaria, ha ravvisato potenziali conflitti sull’obbligo di segnalazio­ne dell’errore al Ministero pubblico. Il giornale «era del tutto legittimat­o a chiedersi se il dovere di informare la paziente competeva anche alla clinica». Di più: «Non si può e non si poteva all’epoca non dedurre che Rey ha sì preso le decisioni sbagliate, ma anche che quell’errore si è purtroppo protratto nei tempi e nessuno ha fatto in modo di migliorare la situazione». Al settimanal­e «bisogna riconoscer­e che quando la verità è saltata fuori lo ha precisato», conformeme­nte ai principi deontologi­ci, che prevedono pure (come peraltro fatto) di raccoglier­e il parere di tutti gli attori coinvolti. «Non posso seguire i decreti d’accusa – conclude Quadri citandone dei passaggi –. Non posso, per lo meno in base al principio ‘in dubbio pro reo’, dire che i giornalist­i hanno “esagerato l’importanza di singoli elementi”, “suggerito nessi di causalità non provati”, “reso illegalmen­te sospette determinat­i persone”, “suscitato dubbi malevoli”, “estrapolat­o ad arte da atti di inchieste in corso suscitando dubbi sulla serietà di chi ha lavorato in quel contesto”. Non posso neanche dire che hanno ricorso a un “mix di titolazion­i” e immagini volte “a esasperare i fatti”. È lo stile del ‘Caffè’, piaccia o meno. Però la tragedia si è consumata».

 ?? TI-PRESS ?? Il pretore Quadri ha cassato i decreti d’accusa
TI-PRESS Il pretore Quadri ha cassato i decreti d’accusa

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland