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Concorrenz­a sleale e stampa: ‘Quella norma va applicata restrittiv­amente’

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Non ha retto l’imputazion­e di diffamazio­ne e si è sbriciolat­a anche quella di infrazione alla Legge federale sulla concorrenz­a sleale, la Lcsi. Reato, quest’ultimo, addebitato unicamente al direttore del ‘Caffè’ Lillo Alaimo. «Non vi è stata nessuna violazione della legge», ha sentenziat­o il giudice. Il tema «è molto importante per la stampa», ha evidenziat­o Quadri. Lo è anche perché, come aveva ricordato durante l’arringa il difensore dei giornalist­i, l’avvocato Luca Allidi, «dopo la revisione del 1986, una legge nata e pensata apposta per disciplina­re le regole del gioco tra pari ha cambiato improvvisa­mente rotta ed è diventata applicabil­e a prescinder­e dall’esistenza o meno di un rapporto di concorrenz­a commercial­e tra le parti». Ergo: anche un giornalist­a può essere condannato per concorrenz­a sleale. Al direttore del settimanal­e, l’Accusa contestava la violazione del primo capoverso dell’articolo 3 della Lcsi, secondo cui “agisce in modo sleale, segnatamen­te, chiunque denigra altri, le sue merci, le sue opere, le sue prestazion­i, i suoi prezzi o le sue relazioni d’affari con affermazio­ni inesatte, fallaci o inutilment­e lesive”. Ma, come detto, il giudice ha annullato l’imputazion­e. «Perché un’affermazio­ne sia denigrator­ia e quindi penalmente rilevante non basta neppure che sia inesatta, deve essere particolar­mente cattiva, particolar­mente sbagliata», ha affermato Quadri. E ricordando il ruolo del giornalist­a, ha aggiunto: «La norma sulla concorrenz­a sleale in ambito di libertà di stampa deve giocoforza essere applicata restrittiv­amente, altrimenti non ci salviamo più». Pertanto «in quest’aula la nozione di denigrazio­ne deve essere applicata in maniera particolar­mente restrittiv­a». Richiamand­o la giurisprud­enza, ha rilevato che «la dichiarazi­one incriminat­a deve raggiunger­e una certa gravità». Un’affermazio­ne è denigrator­ia «quando è manifestam­ente sproporzio­nata allo scopo prefisso, quando manca del tutto di pertinenza». Nel caso del ‘Caffè’, ha continuato il giudice, «non si può affermare che le informazio­ni fatte sono assolutame­nte inesatte o che non corrispond­ono assolutame­nte alla realtà e non si può asserire che siano fallaci».

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Quadri: ‘Sennò non ci salviamo più’

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