‘Io sono tabù’
L’inaugurazione della tredicesima edizione di ChiassoLetteraria, ieri pomeriggio allo Spazio Officina, ha visto, dopo il saluto delle autorità, un intervento di Jamal Zandi, ex militante e attivista per i diritti umani, per la democrazia e il diritto all’autodeterminazione del popolo curdo. Zandi vive in esilio a Balerna e si è laureato in lingua, letteratura e civiltà italiana all’Università della Svizzera italiana. Ha tradotto in italiano ‘Il cimitero dei lumi’ del poeta curdo Sherko Bekas e ‘Il Principe’ di Machiavelli in curdo. Per gentile concessione di ChiassoLetteraria, pubblichiamo qui parte del suo intervento.
Io sono tabù
Sapendo che il tema del festival ChiassoLetteraria è ‘Tabù’, ho riflettuto un attimo sulle cose che nel mio Paese sono tabù. Quando parlo del mio Paese, parlo di molti Paesi: Turchia, Iran, Siria e Iraq.
Segue da pagina 25 Ogni volta che mi viene chiesto “di dove sei?”, ovviamente rispondo: “Sono curdo”. Allora subito mi fanno un’altra domanda: “Curdo! Di dove, curdo-turco?”. Qualcun altro mi domanda: “Dell’Iraq?”. Non posso rispondere con una parola. Per spiegare chi sono devo spiegare una ferita, la storia di un Paese smembrato. Mi vengono in mente le parole di Ismail Besikçi, il sociologo turco che ha passato circa vent’anni della sua vita in carcere per aver difeso i curdi. Disse: “La Turchia ha un Kurdistan, l’Iran ha un Kurdistan, la Siria ha un Kurdistan, l’Iraq ha un Kurdistan, tranne i curdi”. I curdi no. Allora ho pensato che tra i tanti tabù del mio Paese, io stesso, in quanto curdo, sono un tabù.
Io sono Tabù
In Turchia non esistevo, chiamano la mia lingua
lingua di montagna,
offeso esisto oppresso combatto. Mi chiamano musulmano
per non dire curdo.
In Iran, esisto parzialmente “la Repubblica d’Impiccagione iraniana” lo ha detto Sherko Bekas, Né mi nega in tutto né mi riconosce
sono sospeso tra essere e non essere.
In Siria, sino a qualche anno fa, non esistevo,
ora esisto, da quando lotto contro il Male del
nostro tempo, e il nuovo Sultano turco e i lupi grigi,
il tempo è grigio oscuro; perciò il mondo non mi vedeva
ovvero non voleva vedermi.
Io sono Afrin, mentre a grembo vuoto
viso sbiancato, cuore colmo di dolore, fiducioso nell’anima, occhi negli occhi del Male del tempo
combatto per essere, gli uomini del din, gli Immam, e del
denaro, i commercianti di sangue e ossa
in una lunga fila come quando nelle moschee si pongono al cospetto di Dio per pregare
testa in giù, uno dopo l’altro, davanti al seminatore dell’odio, creatore della guerra,
il nuovo Sultano, s’inchinavano senza vergogna.
In Siria il mio destino è l’Afrin.
In Iraq, ho lottato per provare la mia esistenza, ma mi è costato caro, cari miei: ho avuto la mia Hiroshima,
la mia Halabja, ho avuto la mia Anfal.
Eppure esisto.