Il protezionismo non è la soluzione
Qual è il motivo delle controversie tra Washington e Pechino? Nel 2017 gli Stati Uniti hanno esportato beni per circa 130 miliardi di dollari verso la Cina. Al contempo hanno importato merci per più di 505 miliardi di dollari dalla Repubblica popolare cinese. Ne consegue un deficit commerciale nei confronti del Paese asiatico pari a circa 375 miliardi di dollari, il che equivale quasi alla metà del disavanzo totale degli Stati Uniti con il resto del mondo (800 miliardi di dollari). Nonostante aderisca al Wto, la Repubblica popolare cinese è anche nota per le sue pratiche commerciali ed economiche scorrette. In questo contesto si parla soprattutto di furto di proprietà intellettuale e discriminazione verso le imprese straniere. Grazie ai vantaggi competitivi ottenuti scorrettamente, la Cina non ha solo tenuto il mercato interno isolato dalla concorrenza estera, ma negli ultimi anni ha anche recuperato molto terreno in termini di sviluppo tecnologico. Tuttavia, il principale elemento trainante nella bilancia commerciale di un Paese non è il livello di protezionismo, bensì la propensione al risparmio. Se quest’ultima è bassa, come negli Stati Uniti, significa che i consumi nel Paese sono relativamente più elevati. In un sistema economico aperto questo porterà solitamente a maggiori importazioni nette. Inoltre i principali fattori che incidono sulla bilancia commerciale sono il tasso di cambio e la velocità di crescita del Paese. Pertanto, aggiungere barriere commerciali non determina una riduzione del deficit commerciale a lungo termine. Altrettanto improbabile è che un’escalation della situazione porti a una guerra commerciale. È più plausibile che Washington e Pechino si siedano al tavolo delle trattative e concordino concessioni reciproche.