Frammenti di una storia
Momenti di lettura / ‘La chiave nel latte’ di Alexandre Hmine, premio Studer/Ganz Docente e narratore, fra il Marocco delle sue origini e il Ticino in cui è cresciuto, Alexandre Hmine ci regala un romanzo di formazione di rara qualità nel nostro contesto,
Una marocchina fugge dal Paese d’origine in direzione della Svizzera. Ha diciassette anni ed è incinta. Deve evitare il disonore. Il figlio sarà affidato ad un’anziana vedova del Malcantone, l’Elvezia (l’unico personaggio di cui si conosce il nome), che se ne occuperà per parecchi anni. Sarà proprio questo figlio, ormai adulto, a raccontare la sua storia. Alexandre Hmine, fresco vincitore del Premio Studer/Ganz, esordisce con un romanzo (autobiografico) di formazione centrato sul conflitto identitario del protagonista, che si cristallizza attorno ad alcune laceranti dicotomie dalla forte valenza culturale (il Paese d’origine e quello d’adozione, il cibo giusto e quello sbagliato, la religione, l’arabo e il dialetto ticinese, che ibridano costantemente la lingua), fino alla grottesca scoperta di non essere più certo nemmeno del proprio nome. Il racconto appare chiaramente bipartito in due segmenti testuali di eguale estensione: la prima parte si svolge a Vezio, dove il protagonista vive con l’Elvezia (mantenendo contatti regolari con la famiglia biologica) la sua spensierata infanzia, drammaticamente interrotta dal decisivo spartiacque della malattia dell’anziana donna, che rende necessario il ritorno, in una sorta di paradossale migrazione al contrario, nella casa della madre, che nel frattempo si è sposata con un marocchino, l’unico personaggio cui non sarà concessa alcuna pietas e dal quale avrà una figlia.
Dentro gli anni Ottanta
Il romanzo è attraversato da una serie di linee di tensione, seguendo le quali credo sia possibile misurare il percorso di crescita del protagonista. L’asse portante è costituito dall’evoluzione del rapporto con la madre, quasi sempre descritta attraverso la sua forte carica sessuale e gli oggetti che possiede (in
particolare le automobili), implacabilmente registrati dal figlio, la cui maturazione è scandita anche dalla progressiva conquista dell’indipendenza economica. Una donna spesso maldestra, che per consolare la figlia della bocciatura scolastica non trova di meglio che rivelarle che è successo anche al fratellastro, ma con la quale infine sarà possibile una (ri)conciliazione. Vi è poi la graduale scoperta del sesso, dal primo film porno (scovato, non a caso, tra le videocassette della madre), alle puntate di Colpo Grosso guardate di nascosto (e quello di Hmine è anche il romanzo generazionale di chi è cresciuto negli anni Ottanta del secolo scorso), ai rudimentali suggerimenti di uno zio marocchino di rara simpatia, fino al primo bacio e alle prime relazioni, attraverso le quali l’istintiva attrazione fisica evolve nella pienezza del sentimento. Grande importanza è inoltre accordata ai vari sport, il tennis in particolare, nei quali il protagonista appare subito tanto dotato quanto competitivo e restio dall’accettare le critiche; un atteggiamento che tenderà però a stemperarsi, facendo emergere il valore formativo della sconfitta ed emblematicamente illustrato dalla precoce rinuncia al ruolo di calciatore per assumere quello di allenatore. Ed è questa una parabola simile a quella disegnata dal percorso scolastico. Specie a partire dagli studi liceali, imposti dalla madre e seguiti di malavoglia, tra scialbe figure di professori, fra le quali brilla però quella dell’insegnante di italiano, l’unico capace di toccare il cuore degli studenti; fino alla crescente passione che caratterizzerà gli studi pavesi in Lettere e alla scelta di intraprendere la professione di insegnante. E tra i suoi primi studenti vi sarà anche una diciassettenne incinta, a chiudere, circolarmente, il processo di elaborazione dell’abbandono materno. Anche l’(auto)ironia, una delle cifre peculiari del romanzo nonostante la drammatica crisi identitaria narrata, mi pare che tenda a raffinarsi, ed è questo un altro segnale della progressiva maturità con la quale il protagonista impara a guardare al mondo e a sé: è lui stesso a ridere della bizzarria di “un negro che studia letteratura italiana”.
Ricomponendo un’identità
Ed è proprio la nostra letteratura a svolgere un ruolo cruciale all’interno del racconto, poiché l’io narrante comincia a trovarvi parte delle risposte che cerca. Spesso le grandi opere diventano motivo di litigio con la madre (Dante che caccia Maometto all’inferno); a volte di riflessione più introspettiva (gli Ossi montaliani letti di fronte al mare marocchino, ma anche la crisi identitaria smossa dal Moravia de ‘Gli indifferenti’). Fino alla figura centrale di Saba, che appare in due luoghi topici del romanzo: in esergo, a sintetizzare, col verso di una delle ‘Tre poesie alla mia balia’, tutta la vita del protagonista; e in occasione dell’incontro con la figura paterna, non accusata, come avrebbe voluto la madre, di “essere il suo assassino”, ma vista nella sua fragilità ed incapacità di assumersi le proprie responsabilità. Sarà invece la scrittura, cui il protagonista si avvicina progressivamente, a dare le risposte definitive. Dalla parola “mama” composta con le letterine colorate durante l’infanzia malcantonese, al racconto autobiografico in cui rivela la difficile convivenza con la madre e il patrigno; un testo che vincerà un premio letterario, ma che scatenerà le ire di una famiglia che si sente tradita. È l’abbozzo del romanzo (la cui stesura è suggerita da una delle zie, personaggio dal forte ruolo materno), proprio quello di cui, con gioco autoreferenziale, stiamo ora parlando e che permetterà di risolvere il blocco comunicativo vissuto dal protagonista e i non detti accumulatisi lungo la narrazione. Un romanzo costituito da brevi frammenti, a mimare il difficile tentativo di ricomporre un’identità lacerata, disposti in un ordine studiatissimo e tra i quali si nasconde pure l’intenso significato del titolo. Prima del toccante finale, nel quale torna, con l’Elvezia, quel dialetto ticinese che aveva caratterizzato il tessuto linguistico della prima parte del libro ed era stato progressivamente abbandonato con lo scorrere delle pagine.