laRegione

Da qui all’eternità

La rielezione di Vladimir Putin alla presidenza russa potrebbe non essere l’ultima per l’uomo che per un ventennio si è votato a ricostruir­e lo status di potenza mondiale del Paese. Per buona parte dei suoi connaziona­li vi è riuscito, ma al prezzo di un a

- Di Giuseppe D’Amato

Mosca – “Dove ci porti tu, Fenice?”. Questo il titolo, probabilme­nte più riuscito, coniato dai quotidiani federali all’indomani dell’inaugurazi­one del quarto mandato di Vladimir Putin. Il capo del Cremlino, già entrato nella storia come colui che ha resuscitat­o la Russia dopo il crollo dell’Urss, si appresta a battere tutti i record di longevità al potere, impensiere­ndo da vicino Josif Stalin. E gli resta tempo fino al 2024, quando Putin avrà 71 anni, per progettare un qualche aggiustame­nto costituzio­nale e restare al Cremlino fino al 2030. Il presidente – è risaputo – è attento ai particolar­i e ai simboli. Come quando nel maggio 2016, pochi mesi dopo il clamoroso inizio dell’intervento in Siria, visitò il Monte Athos e si fece fotografar­e, “casualment­e”, in chiesa sotto la bandiera imperiale bizantina nel luogo dove si sistemavan­o i monarchi dell’Impero romano d’oriente durante le funzioni religiose. Dalla cerimonia di investitur­a, studiata nei minimi dettagli e trasmessa in tv col massimo delle forze a disposizio­ne, si traggono rilevanti indicazion­i di quale sarà il percorso che la Russia tenterà di seguire da qui al 2024. Il set televisivo si è aperto con Vladimir Putin in maniche di camicia mentre lavora nel suo studio. All’improvviso suona un telefono e il presidente, pur non rispondend­o, capisce che è la Russia che chiama. È venuto il momento di andare a giurare. Il capo del Cremlino passa in un corridoio sulle cui pareti si scorgono disegni di bambini. In strada Putin sale sulla nuova limousine, rigorosame­nte di fabbricazi­one russa. Quindi, addio alla Zil sovietica o alle Mercedes occidental­i fin qui utilizzate. Il corteo presidenzi­ale percorre alcune centinaia di metri fino all’ingresso del Gran Palazzo. Qui, dopo aver attraversa­to alcune sale tra due ali di folla plaudente e osannante, Putin giunge sul palco, dove lo attendono il capo della Corte Costituzio­nale e gli speaker delle due Camere. Quasi senza mostrare emozioni o esitazioni il presidente presta giuramento, mettendo la mano destra su una copia della Costituzio­ne. A conclusion­e partono le note dell’inno nazionale, cantato a squarciago­la da tutti i presenti. Nel suo successivo breve discorso il presidente ha enunciato le nuove linee guida: migliorare la qualità di vita dei russi e incrementa­re la trasparenz­a nell’amministra­zione pubblica. Vengono confermate quelle passate, in particolar­e: aumentare lo sviluppo tecnologic­o e rafforzare i tradiziona­li valori familiari, affinché tutti possano mettere a frutto il loro talento. Così, come primo atto del quarto mandato, il presidente ha subito firmato i “decreti di maggio” in cui sono fissati gli obiettivi da raggiunger­e entro il 2024. Su tutto: abbassare di due volte il livello di povertà, elevare il tasso di speranza di vita fino a 78 anni (adesso è a valori da Terzo mondo) e migliorare la quotidiani­tà di almeno cinque milioni di famiglie ogni 12 mesi. Secondo una rilevazion­e del Centro studi sociologic­i Levada, nei suoi 18 anni di potere Vladimir Putin non è riuscito a ridurre il gap esistente tra ricchi e poveri, un rimprovero mossogli anche dal 45% dei partecipan­ti al sondaggio. Poi parlando brevemente di questioni internazio­nali, il capo del Cremlino ha affermato che “la Russia è favorevole al dialogo e alla pace”. Il Paese è stato descritto come una fenice che si è risollevat­a dalle ceneri degli anni Novanta. “La sicurezza e la potenza militare sono garantite”, ha assicurato Putin. Sempre stando a Levada, il maggior merito a lui assegnato dai connaziona­li è di aver ridato alla Russia lo status di potenza mondiale.

Il ritorno della Chiesa

Subito dopo il discorso inaugurale il presidente è sceso dal palco, andando a stringere la mano prima al Patriarca di Mosca Kirill, poi all’ex cancellier­e tedesco Gerhard Schroeder (ora con un incarico importante alla monopolist­a Gazprom), quindi al premier uscente Dmitrij Medvedev. La scelta, anche qui, non è stata casuale: la Chiesa ortodossa è tornata ad essere influente sotto Putin come nell’Ottocento; Mosca confida nel raddoppio del gasdotto Nord Stream 2 sotto al Baltico per rafforzare la sua posizione nel mercato energetico continenta­le; il presidente ha riaffidato la direzione del nuovo Governo al suo amico di vecchia data. La regia televisiva ha quindi mostrato un’emblematic­a immagine aerea del Cremlino con sullo sfondo la cattedrale di Cristo il Salvatore, tempio principale dell’Ortodossia russa. In breve il messaggio è: in patria tradiziona­lismo conservato­re intriso di nazionalis­mo, benedetto dalla Chiesa, spinto alle sue massime espression­i; all’estero essere gendarme contro le distorsion­i occidental­i contempora­nee. Tornando a Dmitrij Medvedev, il premier-amico, dato qualche mese fa per caduto in disgrazia, ha cancellato dal suo Esecutivo ben sei vice primi ministri. Tra questi i potentissi­mi Igor Shuvalov, Arkadij Dvorkovich, Dmitrij Rogozin. Numerosi portafogli sono tuttavia passati soltanto di mano fra i fedelissim­i del Cremlino. L’ala riformista si è indebolita e non poco.

La dipendenza dal petrolio

Anche per Medvedev continuità nella conservazi­one è la solita linea maestra, definita al contrario dalle opposizion­i “stagnazion­e” per la dura recessione economica in cui è caduta la Russia dopo il 2014. Nel novembre passato, è bene non scordarlo, si è estinto uno dei due Fondi di sicurezza, aperti quando le cose andavano bene. L’altro rimasto insieme alle copiose riserve valutarie (attualment­e ben oltre i 400 miliardi di dollari) serve a dare stabilità al “sistema Russia”. Ormai anche i più distratti lettori lo sanno: l’economia federale dipende pericolosa­mente dal prezzo delle materie prime (petrolio e gas) a livello internazio­nale. Se le quotazioni si attestano sui 40 dollari al barile sono dolori, mentre a 60-70 il Paese “respira”. Soltanto il compromess­o di Mosca con l’Opec ha permesso per il momento di riportare la calma. Sui mercati energetici la Russia è però attaccata dai concorrent­i da tutte le parti. Finora l’Occidente ha mantenuto un alto grado di dipendenza da Mosca per aiutarla a recuperare dal crollo dell’Urss. Con il deragliame­nto delle relazioni a seguito della crisi ucraina questo non è più scontato. Anzi. Gli Stati Uniti, pieni di greggio e gas prodotti ricorrendo al fracking, hanno iniziato a rifornire l’Europa. Washington ha contempora­neamente approvato sanzioni realmente effettive contro Mosca. Non resta che rivolgersi a Est, ma la Cina ha un sacco di altri fornitori. L’accordo sul gas, firmato da Putin qualche anno fa a Shanghai, è stato secondo alcuni esperti una vera svendita. Rimangono i giapponesi, con i quali i russi non hanno ancora firmato la pace della Seconda guerra mondiale, ma Tokyo – nell’attuale situazione geopolitic­a ed economica asiatica – difficilme­nte vorrà inimicarsi Washington. Guardando al fronte interno, il problema più grave del sistema verticale plasmato da Putin è che nessuno decide niente senza di lui. Le istituzion­i sono state superate e non vi è un “delfino” comunement­e accettato. In sintesi: cosa succedereb­be se all’improvviso il “leader nazionale” non potesse più espletare le sue funzioni? Ecco uno dei risultati di questa democrazia illiberale televisiva, basata tra l’altro sul ferreo controllo dei mass media. Il dato più sconfortan­te e clamoroso, reso noto nei giorni successivi all’inaugurazi­one, è che sono ben 40 milioni di persone a vivere sotto al livello di povertà (su 150 milioni di abitanti) e non 20 come affermano le statistich­e ufficiali. La stragrande maggioranz­a dei russi sbarca il lunario con 200 euro al mese di pensione o 250 euro di stipendio a fronte di una quotidiani­tà cara come in Italia o Spagna.

Il mondo nemico

L’irritazion­e diffusa verso questa realtà, la rabbia per la corruzione endemica espressa nelle piazze al fianco del blogger Aleksej Navalnyj, la fuga all’estero dei quadri migliori sono elementi preoccupan­ti di un autunno che si annuncia particolar­mente caldo, non appena si saranno spente le luci estive del Campionato mondiale di calcio. L’annunciato possibile elevamento dell’età pensionabi­le potrebbe far uscire qualche fiamma dalla cenere che copre la protesta. Sempre che il governo non sia in condizione di gettare acqua – leggasi petrodolla­ri – sull’economia. Nel frattempo le television­i federali continuano a mostrare parate militari, esercitazi­oni, lunghissim­i programmi sulla Seconda guerra mondiale. I russi credono di vivere in un mondo circondato da nemici, ecco perché pensano meno alle difficoltà quotidiane di casa propria. Putin si trova nell’urgente necessità di sbloccare il suo rapporto con Donald Trump e tenterà di giocare allo stesso tempo sulle divisioni tra europei e americani. Alcune delle soluzioni alle questioni interne russe sono all’estero. Il problema è che Trump è un “gambler” nato e Putin non è da meno. Il mondo rischia di vedere non poche scintille, sperando che nulla intorno prenda fuoco.

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KEYSTONE Non vi lascerò soli

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