laRegione

Più a destra non si può

- Di Erminio Ferrari

Sono scene a cui abbiamo già assistito, personaggi di cui abbiamo già fatto esperienza, ma vedere un Salvini giurare fedeltà alla Costituzio­ne, un certo effetto lo fa ancora. Non solo lui, ma specialmen­te lui è l’indicatore di quanto a destra vada collocato il nuovo esecutivo italiano. Più a destra non si poteva. In questo senso, la definizion­e di evento storico usata da Luigi Di Maio per la nascita del governo Conte è corretta, benché sia legittimo dubitare della consapevol­ezza con cui lo ha affermato, e della coscienza che ha delle conseguenz­e che ne deriverann­o. Ma questo è. È cioè, questo governo, l’immagine riflessa e – ahimè – attendibil­e di quanto profondi siano il disagio e la confusione patiti dall’Italia, e che il presidente Mattarella ha cercato con fatica e sottigliez­za di mantenere almeno in una cornice rispettosa della decenza costituzio­nale. Della squadra fanno parte politici e “tecnici” che in altri tempi e luoghi si combattere­bbero fieramente e che solo per l’occasione hanno deposto le armi e taciuto gli insulti: un (buon, va detto) generale al ministero dell’Ambiente, perché vale più la repression­e dell’educazione; un ministro dell’Economia al quale si deve il programma economico di Forza Italia; quello degli Esteri (ma consideria­mo che prima di lui c’era Alfano…) che già rivestì la carica con l’odiatissim­o Monti; alla Famiglia un paladino dell’estrema destra identitari­a e omofoba veronese; alla Salute la dottoressa no-vax; agli Affari europei quel professore ultraottan­tenne, affetto da narcisismo senile, il cui solo merito – divenuto poi d’impaccio – era quello di volersene andare dall’euro. E altri, più Di Maio e il già citato Salvini, naturalmen­te, postisi a guardia di Conte, mica che gli venga in mente di sentirsi davvero il capo del governo. Un concentrat­o di istinti reazionari, opacità e velleitari­smo, peraltro corrispond­enti con quanto messo nero su bianco nel cosiddetto “contratto” che dovrebbe costituire il programma per la legislatur­a. Una legislatur­a attorno alla quale i grillolegh­isti hanno posto una cintura esplosiva costituita dalle spaventose contraddiz­ioni della loro alleanza e dall’insostenib­ilità (non solo economica, ma anche politica) delle loro promesse. Anche per questo – non inganni il favore che gli viene tributato dal “popolo”: non c’è niente di più effimero – attorno a loro si è fatto il vuoto, a partire dai giornali ex amici di osservanza berlusconi­ana ed estendendo­si ben oltre il detestato “sistema” e i confini nazionali. Le sponde che potranno trovare conducono piuttosto a gente del tipo di Steve Bannon, Viktor Orban, Marine Le Pen, mentre di Vladimir Putin potranno, al massimo, essere pedine. Ma, ecco, poiché nessun governo è un’isola, bisogna pur aggiungere qualcosa sulla sinistra italiana, la cui scomparsa lo ha in qualche modo prodotto; e su una certa Europa, a sua volta concausa di ciò che ora aborre. Questa Europa, dunque, sfogata la bile un po’ razzista e molto spocchiosa sugli italiani, farebbe bene a rileggere la propria storia e ponderare il percorso e le scelte che l’hanno smarrita, così da non farsi illusioni: il caso italiano potrebbe rivelarsi soltanto l’inizio di un ciclo. Quanto alla sinistra politica, reale o immaginari­a, non c’è più. E se ritiene (dopo l’infatuazio­ne contronatu­ra per mercati e rating) che assistere compiaciut­a al fallimento di questo governo e ai conseguent­i guai per il Paese costituisc­a già un programma, non solo si illude, ma ne è ugualmente colpevole.

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