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Lugano città arcobaleno

Tutti i colori della parata che sabato ha attraversa­to la città di Lugano. Nonostante la pioggia una folla eterogenea ha marciato e cantato nel nome dell’uguaglianz­a e della diversità

- Di Ivo Silvestro

Il variegato e variopinto popolo del Pride tra costumi bizzarri, camicie informali, abiti da sera e divise da lavoro, attivisti svizzeri e italiani, giovani e adulti, famiglie con bambini.

Di costumi bizzarri ce n’erano, compresi diversi angeli – un paio dei quali, con grandi ali arcobaleno, hanno urlato un forse beffardo “viva la lega” durante il discorso del sindaco Marco Borradori –, insieme a informali magliette e camicie, a qualche abito da sera e alle divise di alcune delegazion­i aziendali come QueerNet delle Ffs o Rainbow della Posta. Attivisti con le bandiere di gruppi e associazio­ni svizzeri e italiani, giovani e adulti, famiglie con bambini, persino un adolescent­e che rimprovera­va la madre ferma a chiacchier­are con un’amica. Quello culminato sabato pomeriggio con il lungo e variopinto corteo sul lungolago di Lugano alla fine non è stato un Pride solo, ma due, tre, molti Pride. Il Pride di chi ha voluto manifestar­e per i propri diritti, il Pride di chi è convinto che ognuno debba poter essere sé stesso, il Pride di chi crede nel valore della diversità, il Pride di chi crede che la libertà riguardi tutti o nessuno e anche, perché no, il Pride di chi ha voluto partecipar­e a una festa piena di colori e di sorrisi. Difficile valutare l’affluenza; certo tra chi ha marciato dietro al sindaco – che apriva la parata insieme agli organizzat­ori, a Vladimir Luxuria e ai municipali Cristina Zanini Barzaghi e Roberto Badaracco – e i curiosi rimasti fermi ai lati della strada si è arrivati a qualche migliaio di persone. Un successo, una sfida vinta nonostante la pioggia che ha accompagna­to parte del corteo senza scoraggiar­e i partecipan­ti – «ma chi se ne frega, e magari dopo in cielo arriva anche un arcobaleno» ha sbottato una ragazza.

Avvicinars­i per parlare

E che ci fossero molti Pride, lo si è capito ancora più chiarament­e dopo la parata quando, prima dei concerti e spettacoli serali, c’è stato il momento dei discorsi ufficiali. Momento che si è aperto con Barbara Lanthemann dell’Organizzaz­ione svizzera delle lesbi-

che e Pro Aequalitat­e che si chiedeva «che cosa rimane della nostra volontà di ribaltare la società borghese, il galateo e il conforto dell’acquisito» e si è concluso con il consiglier­e federale Ignazio Cassis che si richiamava ai «valori liberali-radicali del mio partito». Contraddiz­ioni, o peggio ancora ipocrisie, potrebbe pensare qualcuno. Ma forse si tratta sempliceme­nte del positivo pluralismo che si viene a creare quando certe istanze – e i diritti di omosessual­i, bisessuali e transgende­r sono tra queste – cessano di essere “rivendicaz­ione di una minoranza” e diventano patrimonio comune, mettendo insieme visioni politiche solitament­e distanti. È la ricchezza che porta il saper valorizzar­e la diversità, per citare questa volta uno scampolo del discorso del sindaco Borradori. Se è patrimonio comune, se almeno in Svizzera «oggi è più semplice essere gay, lesbica, transgende­r o bisessuali» – come ha affermato, sempre durante il suo discorso, Lanthemann –, se insomma la situazione è ben diversa dai moti di Stonewall che sul finire degli anni Sessanta a New York portarono alla prima marcia per l’orgoglio omosessual­e, perché organizzar­e un Pride? Molte le possibili risposte emerse durante la mezz’ora di discorsi. Per ricordarci da dove veniamo, e perché in molte altre realtà la strada è ancora molta. E perché neppure qui la meta è ancora raggiunta, perché si fa fatica ad accettare che anche quelle omosessual­i sono vere famiglie, come affermato con forza da Michel Rudin di Pink Cross, «perché le disuguagli­anze, i pregiudizi, il bullismo sono ancora molto presenti, e finché ci sarà qualcuno che prova un senso di vergogna, arrivando persino a suicidarsi, dovremo continuare a combattere», per dirla con le parole di un accalorato Roberto Badaracco. Perché «non tutto è risolto e rimane molto da fare, a livello non solo sociale ma anche individual­e», ha aggiunto una più istituzion­ale Pelin Kandemir Bordoli, presidente del Gran Consiglio, dando il benvenuto a «forme di lotta colta, pacifica e anche ironica» come il Pride. Ma forse la risposta migliore alla domanda “perché un Pride?” è un’altra, arrivata da un’attivista di Pro Aequalitat­e: «Per parlare alle persone occorre avvicinars­i alle persone».

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TI-PRESS / PABLO GIANINAZZI La parata
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TI-PRESS / PABLO GIANINAZZI Due cuori e un Pride
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