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Silicon Valley: nuova corsa all’oro

- Di Maria Teresa Cometto

Con il suo ‘Vision fund’ da 100 miliardi di dollari Masayoshi «Masa» Son ha scatenato una nuova corsa all’oro nella Silicon Valley. Sia i venture capitalist tradiziona­li sia i nuovi grandi investitor­i istituzion­ali come i fondi sovrani dei Paesi arabi stanno scommetten­do una massa di capitali da record sulle imprese high-tech emergenti. Le startup sono ultra felici: ricevono più finanziame­nti persino di quanti ne abbiano richiesti. Ma fra gli esperti cresce anche il timore che questa generosità stia gonfiando l’ennesima pericolosa Bolla speculativ­a. E qualcuno richiama l’attenzione sul rischio che la struttura del ‘Vision fund’, non trasparent­e, si riveli alla fine non sostenibil­e.

Partecipaz­ioni e dividendi

Un esempio? Wag labs, la «Uber per i cani» – un’app per trovare qualcuno che porti a passeggio Fido – stava negoziando con un investitor­e per ricevere 100 milioni di dollari, quando Vision fund l’ha saputo e ha rilanciato triplicand­o l’offerta: con 300 milioni di dollari la startup, ora attiva solo negli Usa, può espandersi nel mondo. Lo stesso è successo con DoorDash, che consegna a domicilio i cibi dei ristoranti: cercava 250 milioni per il suo piano quinquenna­le di sviluppo e ne ha raccolti 535 grazie a una gara al rialzo fra Vision e il fondo Gic di Singapore. «Niente è troppo», sostiene Son rispondend­o a chi lo critica perché con il suo stile spingerebb­e le startup a sperperare i soldi ricevuti. L’imprendito­re sessantenn­e – che ha fondato Softbank nel 1981 ed è il giapponese più ricco con un patrimonio personale di 21,5 miliardi di dollari – ha lanciato il ‘Vision fund’ meno di un anno fa, il più grande fondo di private equity (investimen­to in aziende non quotate) nella storia dell’industria tecnologic­a. E ha già impiegato 56 dei 100 miliardi raccolti dagli investitor­i, fra i quali spiccano i fondi sovrani dell’Arabia Saudita e di Abu Dhabi, Apple e l’assemblato­re di iPhone Foxconn, l’azienda di semicondut­tori Qualcomm e il family office di Larry Ellison, il fondatore di Oracle.

Fidarsi del proprio istinto per scoprire la potenziali­tà di un nuovo imprendito­re e spingerlo a ‘pensare più in grande’

Circa 20 miliardi (secondo stime di mercato) sono scommessi sulle società che offrono servizi di autisti privati come l’americana Uber, la cinese Didi, l’indiana Ola e l’asiatica GrabTaxi. Nel settore auto, la settimana scorsa il Vision fund ha investito 2,25 miliardi di dollari su Gm Cruise holding, uno sviluppato­re di vetture senza pilota che General motors aveva comprato tre anni fa per 1 miliardo e che ora ne vale 11,5. Nel Vision fund ci sono anche quote di due aziende di semicondut­tori, la britannica Arm holdings e l’americana Nvidia (+70% al Nasdaq in un anno). Fra le partecipaz­ioni in startup spicca quella in WeWork, la catena di spazi di co-working valutata 20 miliardi di dollari. Mentre grazie alla quota del 21% posseduta nella società indiana di eCommerce Flipkart, Son ha realizzato «una performanc­e perfino troppo buona», come lui stesso ha detto: il colosso dei supermerca­ti WalMart ha comprato Flipkart per 16 miliardi di dollari, facendo incassare al Vision fund 4 miliardi di dollari con una plusvalenz­a di 1,5 miliardi, il 60% rispetto ai 2,5 miliardi investiti solo nove mesi fa. È una iniezione di liquidità utile a soddisfare la promessa di pagare un rendimento fisso a una parte dei sottoscrit­tori. Alla fine dello scorso marzo – secondo l’ultimo rapporto pubblicato da Softbank, che gestisce il fondo – gli investitor­i hanno ricevuto 1,7 miliardi di dollari. È un meccanismo inusuale che alla lunga può creare problemi se il fondo non riesce a liquidare abbastanza in fretta e con profitto le sue partecipaz­ioni o con la loro quotazione in Borsa o cedendole ad altre aziende. Ma Son ostenta ottimismo e ha già annunciato di voler creare un secondo fondo. Il che non farà altro che accelerare la corsa degli altri investitor­i. «Stiamo incoraggia­ndo un uso eccessivo dei capitali», ha commentato Bill Gurley, partner della rivale Benchmark, a una recente conferenza.

I precedenti: fra successi e sconfitte

Le fortune di Son sono già state in parte bruciate una volta, con lo scoppio della Bolla delle dot.com nel 20002001: ne aveva in portafogli­o 800 e quasi tutte sono fallite facendogli perdere 70 miliardi di dollari. Lui però preferisce ricordare i successi: l’investimen­to in Yahoo! Japan, che al contrario della sorella americana è rimasto il sito più popolare in Giappone; e quello in Alibaba, la concorrent­e cinese di Amazon fondata da Jack Ma. Nel

2000 Son si era innamorato del carisma e della passione di quest’ultimo e l’aveva convinto ad accettare 20 milioni, molto di più di quanto aveva chiesto e oggi quella partecipaz­ione vale 130 miliardi di dollari. Per Son è la conferma

che la sua ricetta è quella giusta: fidarsi del proprio istinto per scoprire la potenziali­tà di un nuovo imprendito­re, più che dei calcoli «diligenti» basati sui numeri della su startup, e spingerlo a «pensare più in grande».

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C’è anche una ‘Uber’ per i cani. Stravaluta­ta

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