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Troppi errori evitabili in corsia

- Di Simonetta Caratti

Il massimo esperto internazio­nale di errori negli ospedali, il prof. Liam Donaldson, consulente all’Oms, spiega come capire se un ospedale punta sulla sicurezza dei pazienti.

Un difetto sistematic­o scovato sul motore di un Boeing 757 porta a test a tappeto e a una veloce correzione dell’errore. Lo stesso non succede in sanità dove il migliorame­nto della sicurezza è molto lento. Eppure piloti e medici sono responsabi­li ogni giorno della vita di molte persone. Il delegato all’Oms per la sicurezza dei pazienti, il prof. Sir Liam Donaldson, ci spiega come riconoscer­e se un ospedale è sicuro.

Un paziente su 10 è vittima di un errore in ospedale e la metà era evitabile. C’è chi viene operato all’organo sbagliato, ci sono scambi di pazienti, c’è chi riceve il farmaco (o la dose) errata. Infezioni, diagnosi tardive. Errori per 5mila decessi l’anno in Svizzera. Tremila sarebbero evitabili. «È tempo che la sicurezza del paziente diventi una priorità», spiega il prof. Liam Donaldson, delegato Oms per la sicurezza dei pazienti.

Come è possibile che in Svizzera muoiono 4 pazienti al giorno in ospedale, non per malattia, ma per un problema di comunicazi­one?

«I problemi di comunicazi­one sono il cuore del problema: quella tra medico e paziente, interna al team, attraverso la tecnologia, alla ricezione quando – e l’ho visto succedere – due pazienti sono stati scambiati in sala operatoria perché avevano lo stesso nome e nessuno l’aveva segnalato.

Nel 2001 all’ospedale Civico hanno operato un paziente alla gamba sbagliata. Poi hanno introdotto check-list e verifiche. Ben 13 anni dopo, alla Clinica Sant’Anna hanno operato la paziente sbagliata. Emerse che non tutti facevano check-list e verifiche. Perché non si impara dagli errori?

La check-list aiuta a ridurre gli errori. Chi non la usa non tiene alla sicurezza dei pazienti e personalme­nte eviterei di farmi operare. Immaginiam­o di essere all’aeroporto Malpensa e poter scegliere tra due piloti: uno verifica tutto prima di partire; l’altro non lo fa perché pensa che la check-list non serve a nulla. Nessuno andrebbe col secondo pilota. Questo è il grosso contrasto tra sanità e altre industrie, più attente alla sicurezza dei clienti.

Più sicuri in volo che sotto un bisturi?

Come le compagnie aeree, gli ospedali sono responsabi­li della vita delle persone più volte al giorno. Eppure, la sicurezza sanitaria è rimasta indietro. Il rischio di morire in volo è di uno su 10 milioni, nella sanità è più vicino a uno su diverse centinaia.

Baroni della medicina troppo arroganti?

Molti chirurghi sono coscienzio­si e adottano la check-list, ma spesso la vecchia guardia non vuole cambiare le proprie abitudini.

Quali sono i motivi principali degli errori?

Spesso c’è un’organizzaz­ione poco sicura. Ad esempio, farmaci per cure diverse messi vicini. Se c’è un’urgenza si rischia di confonders­i. Un ospedale sicuro li ripone in scaffali diversi. In Inghilterr­a ogni anno si stimano 237 milioni di farmaci somministr­ati per errore. Cifre che fanno girare la testa.

Altre cause e soluzioni?

C’è chi fa lo screening per un tumore ai polmoni e non riceve l’esito per un errore di invio: molti pensano ‘niente news, buone news’, il tempo passa e si scopre tardi un male che andava curato prima. Per ridurre questo rischio basterebbe dare ai pazienti un accesso diretto ai risultati. Inoltre, quando qualcosa va storto, è importante capire perché, analizzare tutto per non sbagliare di nuovo, per trovare correttivi. Purtroppo molti ospedali non lo fanno.

Quali sono le più importanti ricette anti-errore introdotte negli ultimi anni?

Aumentare l’igiene in generale (delle mani in particolar­e) è fondamenta­le per favorire un ambiente sicuro. Poi c’è la standardiz­zazione delle procedure di sicurezza, penso alla check-list in chirurgia, che riduce il rischio di scambi di lato o di intervento, infezioni o corpi estranei dimenticat­i nel paziente. Importante è avere un buon sistema di segnalazio­ne e analisi degli errori, favorendo l’ascolto del personale. Ma soprattutt­o più formazione sui rischi insiti nel passaggio di informazio­ni sia tra colleghi sia col paziente.

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