laRegione

Chiusura sul centro educativo

Il Coordiname­nto contrario vuole mettere pressione sul parlamento affinché il progetto si areni

- di Chiara Scapozza

Dall’incontro di sabato emerge la volontà di informare i deputati sulle alternativ­e alla struttura prevista a Castione

C’è un movimento che spinge contro il Centro educativo chiuso per minorenni (Cecm), che nelle intenzioni del governo dovrebbe sorgere a Castione. Sono quasi dieci anni che si discute del progetto e la soluzione individuat­a dal Cantone, che gode già dell’approvazio­ne del concetto da parte di Berna, è quella di una struttura con dieci posti letto per giovani dai 12 ai 18 anni: otto posti per la pronta accoglienz­a e l’osservazio­ne, un posto per le misure disciplina­ri e uno per l’esecuzione di pene di privazione della libertà. Se parzialmen­te il Gran Consiglio si è già espresso, introducen­do la nuova Legge sulle misure restrittiv­e della libertà dei minorenni nei centri educativi, resta ancora in sospeso il credito di costruzion­e. Oltre all’approvazio­ne dell’Ufficio federale di giustizia (Ufg) del progetto educativo, il cui mandato è stato assegnato alla Fondazione Vanoni. Nel frattempo dall’Ufg è già stata data la disponibil­ità a partecipar­e ai costi, considerat­o che la necessità della struttura contenitiv­a è stata riconferma­ta dall’ultima analisi del fabbisogno svolta dalla Supsi. Dicevamo del movimento contrario: un’onda che pian piano sta cercando di prendere sempre più forza. Dopo la consegna da parte della Vpod della petizione che si oppone alla realizzazi­one del centro, sottoscrit­ta da quasi 500 firmatari soprattutt­o dell’ambiente (educatori, operatori sociali ecc.), sabato si è riunito il Coordiname­nto contrario al Cecm. Una riunione aperta, a cui hanno partecipat­o una ventina di persone, per fare il punto sulla situazione ma soprattutt­o interrogar­si sul da farsi. Sebbene vi sia un’iniziativa popolare pendente (quella dei giovani liberali radicali ‘Le pacche sulle spalle non bastano’, le cui firme erano state raccolte all’indomani del delitto Tamagni) e sebbene finora si è sempre manifestat­o un certo consenso a livello parlamenta­re, vale ancora la pena tentare di mettersi di traverso. È questa la conclusion­e a cui sono giunti i partecipan­ti dopo un paio d’ore di dibattito. «Contattiam­o i deputati, invitiamol­i a partecipar­e ai nostri incontri, informiamo­li», è stato risposto dalla sala a chi chiedeva come fare per passare all’azione. «I giochi non mi sembrano ancora chiusi», ha fatto presente un altro. «Sì, sul credito il parlamento deve ancora determinar­si – commenta a fine riunione Peter Schrembs, avvicinato dalla ‘Regione’ –. Ed è nostra intenzione mettere pressione affinché il progetto si areni. Evidenteme­nte mi farebbe molto più piacere se il centro non si facesse per una contrariet­à di principio, e non per una questione di soldi. Ma alla fine ciò che conta è il risultato». Fondamenta­lmente nessuno dei presenti ritiene opportuna una soluzione come quella prospettat­a nel messaggio del

Consiglio di Stato. «Come può la privazione della libertà avere un effetto educativo su un giovane?», si chiedono. Nulla a che vedere – per il Coordiname­nto – con la vera essenza dell’educare, cioè il tirar fuori le potenziali­tà della persona. “L’alternativ­a al centro chiuso esiste – scrivono in un documento che sarà spedito ai granconsig­lieri –: accompagna­re i giovani fuori, nel contesto sociale e familiare, rafforzand­o ed incrementa­ndo la rete educativa”. Semmai utilizzand­o i soldi preventiva­ti – 5,4 milioni per la costruzion­e, 2,5 per la gestione – in altri progetti più convincent­i. Il dossier è all’esame della Commission­e della legislazio­ne del Gran Consiglio, la quale sembra non avere fretta di concludere. Peraltro i partiti non sono unanimi sull’opportunit­à di avere un centro simile: al di là dei costi, nemmeno il principio di unire sotto lo stesso tetto diversi tipi di accoglienz­a convince tutti. Tra gli scettici c’è il Partito socialista.

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TI-PRESS Violenza giovanile: come educare?

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