La Storia di un giorno
A Singapore è andata in scena la ‘pace’ tra Donald Trump e Kim Jong-un, dopo mesi di insulti e reciproche minacce. Il documento prodotto dal vertice propugna la denuclearizzazione della penisola coreana, senza tuttavia essere vincolante. Il presidente statunitense ha ostentato entusiasmo: Lo inviterò alla Casa Bianca.
Singapore – Tredici secondi di stretta di mano per cancellare settant’anni di ostilità. Per le tv si può riassumere così l’esito “storico” dell’incontro di ieri a Singapore tra Donald Trump e Kim Jong-un. Dimenticati gli insulti e le minacce dei mesi scorsi, gli annullamenti dell’appuntamento e le ulteriori minacce, dopo cinque ore di colloqui, prima faccia a faccia e poi allargati, il presidente statunitense e i capo della Corea del Nord hanno firmato una dichiarazione in cui Pyongyang si impegna a lavorare per la “completa denuclearizzazione” della penisola coreana, nella cornice di una pace stabile e duratura e con la promessa da parte americana di garanzie sulla sicurezza. Nella cerimonia, officiata con l’ausilio del segretario di Stato Usa Mike Pompeo e della potentissima sorella minore Kim Yo-jong, considerati le vere menti dell’operazione, Kim ha assicurato che “il mondo vedrà un grande cambiamento”. Il testo contiene tuttavia ben pochi dettagli su come le parti si muoveranno verso un obiettivo tanto complesso e ambizioso. Prima dell’incontro, l’amministrazione Trump era risoluta sul fatto che la Corea del Nord dovesse disfarsi delle armi nucleari in modo “completo, verificabile e irreversibile”. Nel testo approvato, il linguaggio è molto più sfumato, non menziona né che la Corea del Nord debba rinunciare alle sue armi nucleari né quando. «Non avevamo tempo» per arrivare a questi dettagli, ha dichiarato Trump nella conferenza stampa successiva, aggiungendo che la denuclearizzazione è un processo lungo. «Penso che lo faremo velocemente come si può fare scientificamente. Ci sarà un punto dal quale non puoi tornare indietro». Beninteso, «le sanzioni rimarranno fino a quando saremo sicuri che le armi nucleari non saranno più efficaci». Ciò di cui Trump non ha dubbi, avendo Kim «ribadito il suo incrollabile impegno a completare la denuclearizzazione della penisola coreana. E io gli credo». A questo punto è lecito chiedersi se Pyongyang crede a lui, ma per saperlo
bisognerà attendere la rottura del silenzio osservato dai media di regime sul vertice. La Cina è stata tra i primi a commentare positivamente l’incontro. Pechino ha visto molti tasselli infilarsi negli spazi desiderati, avanzando pure l’ipotesi di sospensione o rimozione delle sanzioni dell’Onu contro la Corea del Nord. Giudizi positivi anche da Russia, Onu e Giappone, il cui premier Shinzo Abe ha però parlato di passo iniziale, richiamando l’attenzione su quelli successivi. Il presidente sudcoreano Moon Jae-in, in un certo senso artefice dell’avvicinamento tra Trump e Kim, si è felicitato per questo “passo audace verso il cambiamento”, ma ha dovuto incassare la sospensione delle esercitazioni congiunte con gli Usa, su cui Seul conta per sentirsi al sicuro. Mentre del rimpatrio dei circa trentamila soldati americani di stanza in Corea del Sud, Trump si è limitato a dire che vorrebbe “portarli a casa, ma non ora”. L’accordo di Singapore – su un testo simile anche per genericità alla Dichiarazione di Panmunjom del 27 aprile siglata da Kim e Moon – rappresenta comunque una svolta radicale rispetto ai giorni (meno di un anno fa) dei test balistici e nucleari di Pyongyang. Tanto che l’uomo che lo aveva definito Little Rocketman, ieri si è spinto a definire Kim negoziatore “sveglio e abile”, da invitare “assolutamente alla Casa Bianca”.