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Quella volta sotto i Castelli

Patrick Calcagni racconta l’ultimo traguardo del Giro della Svizzera a Bellinzona, nel 2004, quando sulla salita di Artore era stato staccato da Paolo Bettini: ‘Un secondo posto che ricordo più con piacere che con amarezza. Lui voleva che tirassi perché t

- Di Sebastiano Storelli

«Sono contento di quanto sono riuscito a fare. Volevo mettermi in mostra e ci sono riuscito. Certo, ho chiuso secondo, ma come compagno per il finale mi sono... scelto un campione. Abbiamo collaborat­o per molti km, ma prima di attaccare la salita verso Artore aveva capito che ormai ero al limite e così gli è bastato un allungo per andarsene tutto solo a conquistar­e la vittoria. Non potevo fare di più». Così Patrick Calcagni, il 19 giugno 2004, si era confidato alla penna di Mariano Botta. Erano passati pochi minuti dall’arrivo della penultima tappa del Tour de Suisse a Bellinzona (il giorno dopo la corsa si sarebbe chiusa con la cronometro di Lugano) e il campione scelto dal ticinese per giocarsi la vittoria sotto i Castelli era nientemeno che Paolo Bettini, il quale di lì a pochi mesi sarebbe diventato campione olimpico e mondiale... «Mi ricordo che pioveva alla grande. Mi ero inserito nella fuga di giornata, una quindicina di corridori, partita poco dopo il via da Buchs. Il gruppetto si era rotto in due nella salita verso Flims e io ero rimasto nel secondo troncone. Avevamo recuperato terreno salendo verso il Lucomagno, dove aveva pure iniziato a piovere. In discesa eravamo rientrati sui battistrad­a e io, tutto infreddoli­to, avevo tirato diritto senza fermarmi. Mi si erano accodati Bettini e Cortinovis, ma a quest’ultimo, giunti a Claro, erano venute meno le forze e si era rialzato, lasciando via libera a me e a Bettini. Una volta a Bellinzona, Paolo era partito nella salita verso Artore e io non ero riuscito a seguirlo. Alla fine avevo chiuso con 1’04” di ritardo, ma con una cinquantin­a di secondi di vantaggio sui primi elementi della fuga iniziale». Un ricordo bello e amaro al contempo... «Tutto sommato si tratta di un ricordo piacevole. Per me era uno dei risultati più importanti ottenuti in carriera sino a quel momento. Inoltre, si correva sulle strade del Ticino, con tutta la voglia di mettersi in mostra che ne consegue. Mi ricordo un grande pubblico, pronto ad incitarmi ad ogni metro. Per un ciclista ticinese l’arrivo al Sud delle Alpi è sempre particolar­e, ti fa scattare quella vo-

glia di provarci, di lanciarti all’attacco. Quel giorno mi ero mosso con i tempi giusti, ma fare di più non era proprio stato possibile». Da Olivone (dove il terzetto si era formato) a Bellinzona la strada è lunga, a sufficienz­a per scambiare qualche parola con il compagno di avventura... «Certo, ci siamo parlati. Io speravo di arrivare assieme e giocarmela allo sprint, per cui cercavo

di tirare il minimo indispensa­bile per non scialacqua­re energie preziose, mentre lui chiedeva che lavorassi di più. La discussion­e verteva sempre su quell’argomento. Tra l’altro, ci conoscevam­o molto bene, perché ho una casa in Toscana vicino a La California, il paese di Bettini, e spesso ci allenavamo assieme. Lui ci teneva molto a vincere poiché in quella stagione era ancora all’asciutto di successi e voleva assolutame­nte ottenerne uno prima di rimettere in palio, di lì a una settimana, la maglia di campione d’Italia. D’altra parte, però, allo sprint non si sentiva sicuro, per cui non si fidava ad accollarsi il grosso del lavoro. Alla fine, comunque, non ha dovuto faticare più di tanto: giunto a Bellinzona ero chiarament­e al gancio e a lui era bastato un solo scatto per lasciarmi sul posto».

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TI-PRESS Patrick Calcagni sotto sforzo, un pomeriggio di giugno di 14 anni fa

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