laRegione

Vincere facile senza democrazia

- Di Aldo Sofia

Non poteva perdere, e nemmeno subire l’onta del ballottagg­io. E così è puntualmen­te andata. Erdogan fa il pieno dei voti, si conferma capo dello Stato superando nettamente la metà dei suffragi, conquista il traguardo a lungo perseguito dei pieni poteri. Che ottiene in un contesto assolutame­nte antidemocr­atico. Non solo mantenendo lo stato di emergenza, oggi sostanzial­mente inutile, proclamato dopo il fallito e ‘strano’ golpe di due anni fa. Ma soprattutt­o dopo aver scardinato tutto quanto poteva ostacolare la sua presa assoluta sulla Turchia. Oltre centomila arresti, decine di migliaia di funzionari licenziati, il controllo della magistratu­ra, lo stretto bavaglio alla stampa, l’epurazione di un esercito che per decenni fu guardiano della laicità e che oggi è totalmente ai suoi ordini. Non solo: l’intervento armato contro i curdi di Siria e di Iraq, guerra trasformat­a in ossessiva propaganda nazionalis­ta, dopo che a lungo il neo-sultano di Ankara aveva supportato gli sgherri dello Stato Islamico. In un simile quadro di deriva autoritari­a era impossibil­e che Erdogan potesse subire uno smacco. Né poteva bastare ai suoi rivali repubblica­ni e anti-islamisti uno sforzo unitario senza precedenti, quel muro del pubblico dissenso che dopo sedici anni di guida sempre più illiberale sperava non certo di scalzare ma quantomeno di scalfire e contrappor­si efficaceme­nte al ‘rais’ trionfante. Nemmeno la fine del “miracolo economico” (ampiamente drogato dal denaro facile a basso costo e da colossali opere pubbliche) poteva cambiare l’esito già scritto delle urne, del resto facilmente ‘adattabile’ con i prevedibil­i brogli di rito. Sarà certo importante attendere i risultati definitivi del parlamento, soprattutt­o quello del partito pro-curdo Hdp di Demirtas (costretto a fare campagna dal carcere) per sapere se quest’ultimo, superando lo sbarrament­o del dieci per cento, sia o no in grado di indebolire la maggioranz­a presidenzi­ale. Ma poco inciderà sull’egemonia costituzio­nale di un Erdogan che a questo punto diventa padrone assoluto del Paese: senza un primo ministro, in grado di scegliere la maggioranz­a della Corte costituzio­nale, e nella possibilit­à di governare per decreti scavalcand­o l’assemblea. Un “Atatürk al contrario”, questo Erdogan convinto che la democrazia sia solo uno strumento per arrivare allo Stato confession­ale. Personaggi­o ambiguo con cui la comunità internazio­nale dovrà continuare a fare i conti: dall’Ue (che con un primo assegno di sei miliardi gli ha chiesto di tenersi tre milioni di profughi siriani chiudendo la via balcanica); ai Paesi del Vecchio Continente violenteme­nte accusati per aver contrastat­o la propaganda turca al loro interno; a Nato e Stati Uniti alle prese con un partner assolutame­nte imprevedib­ile; e anche a Russia e Iran, improvvisa­mente diventati alleati di comodo ma domani chissà. Piacerà agli amanti ‘dell’uomo forte’, questo super Erdogan. Ma le ferite inferte alla Turchia potrebbero diventare esplosive.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland