I libici dicono no a Salvini
Il rimpallo di responsabilità tra Paesi europei produce la fantasiosa ipotesi di insediare gli ‘hotspot’ nei Paesi di partenza
Roma/Tripoli – La Libia non li vuole? Allora li facciamo più a sud. Partito per Tripoli in un gran clamore di tweet e selfie, Matteo Salvini ne è tornato con una supposta intesa sull’insediamento dei centri di identificazione per migranti, non certo in Libia, come immaginava di poter imporre ai padroni di casa (e laggiù ce ne sono un sacco e in guerra l’uno con l’altro), ma ancora più a sud. Senza, ci mancherebbe, avere sentito il parere di chi “più a sud” abita e governa. Piccolezze. Salvini ha potuto così mostrare che i centri non si faranno in Italia, “come vuole la Francia”, diventata ormai il suo nemico designato. E per provare che fa sul serio, ha anche annunciato la convocazione di una conferenza sull’immigrazione illegale, di iniziativa italo-libica, da tenersi a settembre a Tripoli. Oltre a vantare una “totale condivisione”, con quelli che in campagna elettorale definiva non certo “autorità”... In conferenza stampa, Salvini ed il vicepremier libico Ahmed Maiteeq hanno espresso identità di vedute su diversi punti: l’Europa deve fare di più; le navi delle Ong che aiutano i trafficanti di uomini vanno fermate; Libia ed Italia hanno bisogno di un presidio più consistente alle frontiere esterne. Salvini si è anche detto consapevole della fragilità del governo Serraj nel Paese delle mille milizie contrapposte e dell’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar. Non a caso nel vertice di Parigi del mese scorso Emmanuel Macron aveva convocato entrambi i leader. Ma, è l’ennesima frecciata ai francesi, “noi siamo partiti dall’unica autorità riconosciuta dagli organismi internazionali”. Che in Libia è una delle bugie più grosse che si possano dire. Quanto alle soluzioni, Salvini ha bocciato quella che piacerebbe a Parigi, l’apertura dei centri in Italia (dove, Macron si informi, non ne mancano...). “Sarebbe un problema per noi e per la Libia stessa – ha detto Salvini – perché i flussi della morte non verrebbero interrotti. Noi abbiamo proposto centri di accoglienza posti ai confini a sud della Libia per evitare che anche Tripoli diventi un imbuto, come l’Italia”. Da parte sua, Maiteeq ha respinto “categoricamente” la proposta di centri gestiti dall’Europa in territorio libico: “Sono contrari alla nostra legge”. Il ministro ha poi precisato che questi centri di protezione ed identificazione non dovrebbero sorgere in Libia, ma “alle sue frontiere esterne”: e dunque in Paesi come Niger, Ciad, Mali e Sudan. E qualcuno li avverta.