Dublino resta un totem
Lussemburgo – Di riformare Dublino non si parla, l’Italia se ne faccia una ragione. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, dopo il suo incontro col presidente Emmanuel Macron a Parigi, e al termine di un tour che lo ha portato nelle principali cancellerie europee, ha dovuto ammettere la propria impotenza. Comprensione e solidarietà a Roma, ma di modificare la norma secondo la quale deve riprendersi tutti i migranti illegali scaricati dai partner europei, in quanto Paese d’ingresso nello spazio Schengen, non c’è verso. “Sarà la prossima presidenza di turno austriaca a continuare col lavoro”, ha detto Tusk. E con il governo nazionalista al potere a Vienna, impegnato con il gruppo di Visegrad a non fare alcuna concessione in tema di migranti, ci sarà da divertirsi. Tra Roma, che ancora domenica ha chiesto di “stracciare” la norma che fissa la responsabilità dei migranti sul Paese di primo ingresso, e una Germania che da due anni preme per la riforma della legge, il presidente del Consiglio europeo ha cercato di disimpegnarsi, calciando la palla più avanti. Nella bozza di dichiarazione redatta alla vigilia del vertice dei 28 per il passaggio della presidenza austriaca, la vaghezza domina. Si parla di “sviluppo del concetto di piattaforme di sbarco regionali, in stretta collaborazione con i Paesi terzi, Unhcr e Oim”; di un “nuovo approccio” agli sbarchi dei migranti soccorsi nei salvataggi, per “smantellare il modello di business dei trafficanti, evitando perdite di vite, ed eliminando l’incentivo ad imbarcarsi”. Nel documento si ribadisce inoltre che “l’Ue continuerà ad essere al fianco dell’Italia e degli altri Paesi in prima linea”, rafforzando “il sostegno alla Guardia costiera libica, alle comunità costiere e meridionali, così come la cooperazione con gli altri Paesi di origine e transito”. Peccato che il governo italiano si aspetti altro. E gli altri (governi) non abbiano tempo per aspettare.