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‘Democrazia è trasparenz­a’

Concession­e dell’attinenza comunale: il voto segreto sistematic­o chiesto da destra non passa Bocciata la mozione di Aron D’Errico e cofirmatar­i (che aveva incassato il sostegno della maggioranz­a della Legislazio­ne)

- Di Davide Martinoni

Un dibattito dai forti connotati ideologici, su un tema che avrebbe valenza amministra­tiva ma è invece contraddis­tinto – nei Consigli comunali – da un profilo politico. Questo è stato il dibattito di ieri in Consiglio comunale a Locarno sulla mozione con cui Aron D’Errico e cofirmatar­i chiedevano l’applicazio­ne sistematic­a del voto segreto per le richieste dell’attinenza comunale in vista della naturalizz­azione. Mozione che al voto, dopo quasi 2 ore e mezza di pareri assortiti, è stata bocciata con 21 “no”, 10 “sì” e un’astensione. Il Municipio, ricordiamo, aveva proposto di bocciare la mozione soprattutt­o perché la modalità del voto segreto è già prevista per casi particolar­i e “introdurre una regola fissa non ha senso”. Di base, ricordava l’esecutivo – ed ha poi sottolinea­to in sala Ronnie Moretti –, è infatti necessario “garantire lo svolgiment­o corretto della decisione”; correttezz­a data dalla “parità ed equità di trattament­o” e dall’obbligo di motivare le decisioni adottate: “Sarebbe improbabil­e, o in tutti i casi raro, che un consiglier­e esprima in seduta durante la discussion­e una motivazion­e a sostegno della non concession­e dell’attinenza comunale, allorquand­o si procedereb­be in seguito con il sistema del voto segreto: il fine del voto segreto non sarebbe pertanto ottenuto”. La Città notava infine che l’ordinament­o giuridico in materia è chiaro e difficilme­nte si può andare in deroga; quanto alle paventate ritorsioni di chi si è visto rifiutare l’attinenza, “il candidato non ha motivo di prendersel­a con chi è stato tenuto ad esprimere il voto sulla sua domanda sulla base della legislazio­ne in vigore” ma può adire “le vie di ricorso che gli sono garantite”.

Ideologie a confronto

I “temi” della mozione erano invece stati presi per buoni dalla maggioranz­a della Commission­e della legislazio­ne, che concludend­o il suo rapporto (relatore Mauro Belgeri, correlatri­ce Julia Wolf-Bertoia) parlava dello scrutinio segreto quale strumento utile per “garantire la libertà di voto e l’autonomia decisional­e” dei consiglier­i comunali; per “evitare ingerenze, condiziona­menti e pressioni sociali, personali, economici/lavorativi e politici”; e, appunto, per “mettere al riparo dal pericolo di ritorsioni”. Un altro motivo in base al quale trincerars­i dietro l’anonimato era il “mettere un freno alle naturalizz­azioni facili”. Inoltre, così facendo Locarno si sarebbe adeguato, secondo la Legislazio­ne, “alla prassi di altri Comuni”. Tutti elementi emersi durante la di-

scussione che ha preceduto il voto finale. Non soltanto a sinistra (Sirica, Camponovo, Pelloni, Antunovic, Vetterli, Zanchi e Pini) è stato sottolinea­to che democrazia è prima di tutto trasparenz­a, e che trasparenz­a significa anche coraggio. Un coraggio che deve prevalere sui (pochi) casi di intimidazi­one o ritorsione. Da questo elemento (la “schermatur­a” del voto per difendersi da chi può non digerire un “no” alla propria domanda di attinenza) era nata una mozione che il suo primo firmatario ha insistito a definire «di libertà, necessaria quando parliamo, contrariam­ente a quanto succede per gli altri messaggi, di un voto sulla persona». Sulla falsariga di D’Errico si sono espressi gli esponenti della destra Caldara, Bäriswyl e Ceschi, mentre una posizione personale più difficilme­nte classifica­bile, «per niente anti-stranieri» – ma comunque a sostegno del voto segreto – è stata portata da Belgeri.

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