Le dritte di una stella
Irina Kirillova, una delle più grandi giocatrici della storia del volley, ha dispensato un pizzico della sua classe alle ragazze del G&B Volley. A noi ha raccontato di una carriera nata quasi per caso, dei difficili inizi lontano dalla famiglia nel rigido
A chi non mastica le cose del volley, il nome di Irina Kirillova dirà poco o niente, per tutti gli altri ha un valore pari a quello di Diego Maradona nel calcio. Per anni è stata la migliore giocatrice al mondo e sotto quella rete posta a 224 cm dal suolo ha vinto tutto, conquistando qualcosa come 39 trofei, sia con i vari club nei quali ha militato (8 volte la Coppa campioni) sia con la Nazionale russa (titoli olimpico, mondiale, europeo). E di recente è stata introdotta nella Hall of Fame del volley a Holyoke, nel Massachusetts. Ritiratasi nel 2012, ha svolto diverse mansioni da allenatrice, spesso in compagnia del marito Giovanni Caprara, pure lui rinomato tecnico. E negli scorsi giorni Kirillova ha fatto una capatina anche al di qua della frontiera (vive a Novara) per svolgere una seduta di allenamento a Bellinzona, con le ragazze del G&B Volley... «Mi ha invitata Federico Roncoroni, con il quale ho seguito un corso per allenatori. E ho accettato ben volentieri». I suoi consigli torneranno certamente utili alle ragazze bellinzonesi, così come a tutti coloro che hanno preso parte ai camp ai quali la 53enne di Tula è spesso chiamata a dispensare le sue conoscenze tecniche... «Spesso invitano me e mio marito, ma quest’anno abbiamo deciso di allestire un camp tutto nostro, nel quale saremo gli organizzatori, così come gli allenatori in campo. Per quanto riguarda un impiego da allenatrice a tempo pieno, sto valutando alcune proposte, provenienti pure dall’estero. Inoltre, ho molte offerte per tenere corsi per squadre, ma anche per aziende e banche. Devo stabilire quali sono le priorità, perché non posso arrivare ovunque e se mi assumo un impegno lo voglio portare a termine con la massima responsabilità, proprio come facevo da giocatrice». E pensare che nella vita di Irina Kirillova il volley è entrato quasi per caso... «È vero, perché mio padre, che ha vestito molte volte la maglia della Nazionale russa, non mi ha mai spinto verso il suo sport. Nel mio palazzo a Tula, città nei pressi di Mosca, viveva una ragazza che tutti i pomeriggi passava a chiamarmi per accompagnarla all’allenamento. Io chiedevo a mia nonna di dirle che stavo dormendo. Un giorno, però, non feci in tempo a nascondermi e fui costretta a seguire la mia amica in palestra. E fu un vero colpo di fulmine».
‘La mia crescita sportiva è dovuta agli allenamenti di Karpol, ma anche ai geni lasciatimi in eredità da mio padre, ex nazionale russo’
Di lì a un paio d’anni, l’allora quattordicenne fu notata da Nikolay Karpol, tecnico dell’Urallochka, che la volle a Ekaterinburg, città negli Urali a 2’000 km da Tula, allora amministrata da un certo Boris Eltsin... «Fu un periodo molto difficile, a causa del distacco dalla famiglia, ma ebbi la fortuna di poter lavorare con un grande allenatore, i cui insegnamenti furono alla base dei miei successi. Successi che devo agli allenamenti di Karpol, ma forse anche un po’ ai geni lasciatimi in eredità da mio padre. Non fu comunque facile, perché a quei tempi in Unione Sovietica – e stiamo parlando degli anni che vanno dal 1960 al 1980 – l’insegnamento dello sport era molto rigido, come lo erano la cultura e la mentalità russa. A 14 anni mi ritrovai in collegio, con le giornate divise tra la scuola al mattino e allenamenti durissimi al pomeriggio. Per fortuna c’era il sogno di diventare una grande campionessa...». Dopo aver vinto ogni possibile trofeo o riconoscimento, la Kirillova nel 1991, a seguito di alcuni dissidi con Karpol, decise di abbandonare tutto, anche la Nazionale. E l’anno seguente conseguì il passaporto croato. Una decisione che in Russia fece molto discutere... «E non solo in Russia, se ne parlò nel mondo intero. Era il periodo del passaggio tra l’Unione Sovietica e la Russia e devo dire che non fu una decisione facile da prendere. Con l’Urss avevo vinto tutto e avrei potuto portare a casa ancora molti trofei, ma l’uscire dai confini russi mi aprì la mente a 360°, mi diede la possibilità di conoscere altre culture, altri stili di volley e mi fece diventare migliore sia come persona sia come giocatrice. Con il passare degli anni compresi che quella era stata la scelta giusta. Una scelta che rifarei».
‘Grande specializzazione’
Il volley ha scandito (e scandisce tutt’ora) l’esistenza di Irina Kirillova. Un volley nel quale continua a riconoscersi, a prescindere dai cambiamenti ai quali, come molte altre discipline, è andato incontro nel corso degli ultimi anni... «È vero, la pallavolo è cambiata molto, ma non sono una di quelle che dicono “Ah, ai miei tempi sì che...!”. Penso che lo sport evolva per natura e che in ogni epoca vi siano aspetti positivi e negativi da soppesare in egual misura. Detto ciò, è vero che rispetto ai miei tempi vi è stato un grande cambiamento, in particolare per l’accentuata specializzazione alla quale si è assistito. Da un certo punto di vista ha facilitato la vita a molti giocatori, perché fino a vent’anni fa per emergere dovevi saper fare tutto e farlo bene: bisognava ricevere, attaccare e difendere. Adesso, per contro, se sei bravo a muro hai un posto in squadra assicurato e lo stesso dicasi per chi sa schiacciare o per chi sa ricevere. Inoltre, c’è stato un grande progresso a livello fisico. Un tempo nella Nazionale russa vi erano due o tre giocatori che raggiungevano i 190 cm, adesso tutti sono almeno 195 cm. Insomma, anche il volley come altre discipline ha seguito un’evoluzione che l’ha portato a una specializzazione dei compiti e a un aumento della forza fisica». Di tutti i titoli conquistati Irina Kirillova serba un ricordo particolare per quello olimpico, staccato nel 1988 a Seul... «Una premessa è doverosa: tutti gli allori sono importanti, anche perché la loro conquista è stata il frutto di tanti sacrifici. Ma il successo di Seul fu qualcosa di assolutamente strabiliante. A tal proposito, leggevo qualche mese fa un articolo nel quale quella vittoria occupava ancora il primo posto tra i successi più sofferti della storia olimpica. In effetti, dopo aver superato 3-0 la Cina in semifinale, nell’atto conclusivo ci ritrovammo sotto 2-0, 126 contro il Perù. Fu una rimonta straordinaria, culminata nel 17-15 del quinto set». Nel 2005 la Kirillova ha dato alla luce una figlia, Nika. La quale non sembra però voler seguire le orme materne... «Io ho iniziato con il volley a 12 anni, lei a 13 ha smesso. A mio modo di vedere ha cominciato troppo presto, ma l’ho lasciata libera di scegliere, non le ho mai voluto imporre la pratica di questo sport. Adesso si concentra sulla danza classica e moderna, così come sul nuoto. Se penso ai sacrifici fatti durante la mia adolescenza trascorsa lontano dalla famiglia, non credo proprio che riuscirei a sopportare un simile distacco da mia figlia Nika».