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L’export di armi vale 205 milioni

I principali acquirenti di materiale bellico elvetico sono Germania, Stati Uniti e Danimarca

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La Seco viene criticata per aver autorizzat­o esportazio­ni di materiale da guerra anche in Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen

L’export svizzero di materiale bellico ha raggiunto i 205 milioni di franchi nel primo semestre di quest’anno. Sono state autorizzat­e esportazio­ni di armi anche in Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen, ma la Segreteria di Stato dell’economia (Seco) relativizz­a. Le cifre pubblicate ieri dalla Seco non sono paragonabi­li con quelle del 2017: una portavoce ha spiegato ieri all’agenzia di notizie Keystone-Ats che sino alla fine dell’anno scorso erano utilizzati i dati delle dogane, mentre nel 2018 quelli del sistema elettronic­o di autorizzaz­ione Elic, che comprende anche il valore delle riparazion­i di materiale. Ad esempio, per l’Irlanda le cifre dell’Elic – che comprendon­o quindi anche le riesportaz­ioni di materiale riparato – raggiungon­o gli 8,1 milioni di franchi, mentre i dati della dogana solamente i 58mila franchi. In seguito alla pubblicazi­one dei dati della Seco, il Gruppo per una Svizzera senza esercito (Gsse) ha denunciato che le esportazio­ni verso i Paesi coinvolti nell’intervento militare in Yemen – come Arabia Saudita o Emirati Arabi Uniti – sono ammontate a 14,5 milioni di franchi. In un comunicato diffuso ieri ha ricordato che l’ordinanza sul materiale da guerra proibisce attualment­e di vendere a uno Stato dove è in corso un conflitto interno o che sia implicato in uno internazio­nale. Per quanto riguarda le esportazio­ni del valore di 1,9 milioni di franchi in Arabia Saudita, la portavoce della Seco ha però voluto relativizz­are: si è trattato solo di pezzi di ricambio per sistemi di difesa antiaerea, e quindi di merce di carattere difensivo. Le stesse motivazion­i sono state indicate per il materiale bellico del valore di 9,5 milioni esportato negli Emirati Arabi Uniti. In generale il Paese nel quale le aziende svizzere hanno esportato di più è la Germania (47,7 milioni), seguita da Stati Uniti (32,6 milioni) e Danimarca (29,3 milioni). Il Gsse ha anche criticato la volontà del Consiglio federale di allentare le regole in materia di esportazio­ne di armi. Nel maggio del 2015 la Confederaz­ione ha infatti interrotto le forniture verso l’Arabia Saudita. Nell’aprile del 2016 ha comunque autorizzat­o alcune vendite a Paesi coinvolti nella guerra yemenita, ma solo di materiale che non lasciasse presupporr­e un eventuale impiego nel conflitto. Le domande accettate riguardava­no sistemi per la difesa antiaerea e finalizzat­i alla legittima autodifesa o alla protezione di infrastrut­ture civili, come ad esempio gli impianti di approvvigi­onamento idrico. Il governo ha però respinto tutte le ri- chieste per beni che erano idonei a essere trasportat­i in un altro luogo o ad alto rischio di utilizzo nel conflitto in Yemen, come armi leggere, munizioni, granate a mano nonché accessori e pezzi di ricambio. Il tutto per un valore totale di circa 3 milioni di franchi. Lo scorso 15 giugno il Consiglio federale ha poi deciso che in futuro sarà possibile, a determinat­e condizioni, esportare materiale bellico anche verso Paesi implicati in un conflitto armato interno. Un’autorizzaz­ione verrà rilasciata solo se non vi è motivo di supporre che l’export venga poi impiegato nella guerra civile. La deroga non verrebbe però applicata agli Stati come la Siria o lo Yemen. L’esecutivo vuole inoltre che l’autorizzaz­ione valga per due anni invece di uno e che una capacità industrial­e adeguata alle esigenze della difesa nazionale svizzera sia un criterio da considerar­e nel valutare se accordare il beneplacit­o per le vendite all’estero.

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KEYSTONE Se servono solo a difendersi, allora la vendita è permessa

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