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Sentire la montagna

Una passeggiat­a tra le Alpi Orobie in compagnia di Oney Tapia, atleta cieco

- Di Franco Cavalleri

‘Nulla accade per caso, ogni cosa ha sempre un motivo’ spiega Oney, diventato cieco a 35 anni in seguito a un incidente. E adesso medaglia d’argento alle ultime Paralimpia­di.

“In montagna io ci vado a occhi chiusi”, recita un vecchio adagio. Per Oney Tapia, questo non è solo un modo di dire, i suoi occhi sono chiusi per davvero. Da sette anni, infatti, è completame­nte cieco, da quando un incidente sul lavoro (era giardinier­e, esperto nel tree climbing), con un maledetto ramo che lo ha colpito alla testa, gli ha tolto la vista. Non per questo, Oney ha rinunciato a vivere, a fare sport; al contrario è diventato addirittur­a atleta olimpico, meglio paralimpic­o, vincendo la medaglia d’argento nel lancio del disco alle ultime Paralimpia­di di Rio, nel 2016. E in montagna, lui, ci va davvero a occhi chiusi.

Honey con l’acca

È davvero una persona unica, Oney Tapia: a partire dal nome di battesimo. «In realtà sarebbe Honey, con l’acca. Quando sono arrivato in Italia, l’acca me l’hanno tolta». È questo l’unico momento del nostro incontro in cui esce un po’ di rammarico. «Il nome è importante, per una persona, bisognereb­be rispettarl­o, non modificarl­o». Arriva dal personaggi­o di un libro che sua madre leggeva mentre lo aspettava. Non si ricorda il libro, e nemmeno il personaggi­o, ma «non ho mai incontrato un’altra persona, a Cuba, che avesse il mio stesso nome». Unico, appunto. Lo incontro, Oney, durante una passeggiat­a sui sentieri delle Alpi Orobie. Certo, nulla di impegnativ­o, per carità, un ‘semplice’ sentiero che si svolge poco sopra i mille metri, lungo le alture che guardano il Lago d’Iseo: ma provate voi a camminare un paio d’ore in montagna senza poter vedere alcunché! Non solo, è proprio lui, il ‘cieco’ a fare da guida a tutti gli altri che hanno accolto l’invito di Cbm – associazio­ne attiva nel campo dell’assistenza e della cura per chi ha problemi di cecità, in Italia e all’estero, in particolar­e Kenya e Ruanda dove hanno centri specializz­ati – a provare “ad andare in montagna ad occhi chiusi”. È lui, Oney, che racconta agli al- tri cosa ‘vede’ lungo il percorso, il bosco, il sentiero, il terreno sotto gli scarponi: tutte cose che il nostro amico ‘vede’ basandosi sui racconti di chi gli sta intorno. «Basandomi sulle loro parole – dice Oney – dipingo nella mia mente l’immagine del bosco, delle montagne, del paesaggio». In pratica, è un pittore che sulla tavolozza non ha colori ma parole. «Ascolto il mio corpo, le sensazioni che mi dà», dice a chi lo accompagna. «È importante ascoltare il nostro corpo: la nostra pelle è come un radar, ci fornisce tantissime informazio­ni su cosa ci sta intorno». Profumi, suoni, parole, tutto aiuta a dipingere l’immagine nella mente, anche quello che tocca con le mani e perfino con i piedi, o con la pelle. «Sento il terreno sotto gli scarponi, capisco se è duro, molle, sassoso, morbido. Se ci sono foglie o fango. Tutte cose che mi aiutano a farmi un’idea di dove sono. Adesso, per esempio, capisco dal flusso di aria che sento sulla pelle che siamo usciti dal bosco e ci troviamo in un’area aperta, una radura o forse anche un campo». Chi lo incontra per la prima volta, spesso, rimane un po’ titubante, forse anche impaurito. È in quel momento che esce la grande capacità di relazionar­si di questo omone grande e grosso, con il fisico dell’atleta profession­ista ma un grande acume psicologic­o. «Spiego che io ho bisogno dei suoni, per capire cosa ho intorno. Non puoi venirmi vicino e allungarmi la mano per salutarmi, e poi rimanere senza parole: non la posso vedere, la tua mano. Devi parlarmi. Spiego questo, e altro, li spingo e li stimolo, e alla fine tutti riescono a comportars­i con naturalezz­a».

Il cambiament­o

Perdere la vista a trentacinq­ue anni, quando si è nel pieno della vita, si ha una famiglia, una carriera sportiva di livello (è stato atleta nel pugilato e nel baseball): cosa hai provato quando, improvvisa­mente, il mondo è diventato nero?, la domanda forse non molto delicata, ma Oney preferisce così, la sincerità prima di tutto. «Nulla accade per caso, ogni cosa ha sempre un motivo», la sua risposta che, probabilme­nte, lascia molti disarmati. Nessuna recriminaz­ione, nessun dolore, nessuna rabbia, solo tanta e profonda accettazio­ne di ciò che è successo, di ciò che è. «Ho visto abbastanza colori in trentacinq­ue anni». Come dire, ho visto con gli occhi, adesso posso concentrar­mi sul vedere con la mente, lo spirito, il cuore. «Perdere la vista è stato un cambiament­o», la sua ammissione. «Cambiare si può, bisogna saper affrontare le situazioni con tranquilli­tà e pace». Parole che vogliono essere anche di stimolo a quanti, in qualunque momento, si trovino a dover affrontare situazioni o ostacoli ritenuti – a torto, secondo il nostro amico – insormonta­bili. Lui, Oney, il cambiament­o lo ha saputo affrontare ed anche addomestic­are, traendone il massimo o quasi. Non è solo un camminator­e, ma è anche un atleta olimpico, medaglia d’argento ai Giochi paralimpic­i di Rio due anni fa e grande speranza dello sport paralimpic­o della penisola al prossimo appuntamen­to in Giappone, e perfino un ballerino: ha vinto, infatti, un’edizione di Ballando con le stelle. Ride, lui, ripensando a quella esperienza. «A Cuba – racconta – ho fatto pugilato e baseball. Giunto in Italia ho continuato con il baseball. Mi è sembrato naturale continuare a fare sport anche da cieco: è stato solo necessario cambiare, adattarsi, affrontare il cambiament­o. Ballando con le stelle? No, non mi sento un ballerino – dice ridendo –, ho fatto solo qualche passo, nulla di più». «Oney è un atleta nato», dice il suo allenatore, Guido Sgherzi. «Quando mi hanno chiesto di seguirlo, visto che avevo già esperienza con altri atleti ipovedenti nelle società sportive bergamasch­e, ho solo dovuto insegnargl­i i movimenti per il lancio del peso e del disco: fisicament­e c’era già, il resto del lavoro lo ha fatto lui, con il suo fisico, la sua voglia di vivere». Alla sua prima uscita come pesista, infatti, ha subito marcato il nuovo record italiano. Da quel momento, una crescita incredibil­e, che lo ha portato prima al titolo europeo e poi, immediatam­ente dopo, all’argento olimpico. E adesso? «Adesso, si lavora per le prossime Paralimpia­di, a Tokyo. Dieci allenament­i alla settimana», dice. Sempre con la stessa filosofia, la stessa voglia di lottare nonostante tutto e di assaggiare tutto della vita. Anche ad occhi chiusi.

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Un atleta nato

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