Sentire la montagna
Una passeggiata tra le Alpi Orobie in compagnia di Oney Tapia, atleta cieco
‘Nulla accade per caso, ogni cosa ha sempre un motivo’ spiega Oney, diventato cieco a 35 anni in seguito a un incidente. E adesso medaglia d’argento alle ultime Paralimpiadi.
“In montagna io ci vado a occhi chiusi”, recita un vecchio adagio. Per Oney Tapia, questo non è solo un modo di dire, i suoi occhi sono chiusi per davvero. Da sette anni, infatti, è completamente cieco, da quando un incidente sul lavoro (era giardiniere, esperto nel tree climbing), con un maledetto ramo che lo ha colpito alla testa, gli ha tolto la vista. Non per questo, Oney ha rinunciato a vivere, a fare sport; al contrario è diventato addirittura atleta olimpico, meglio paralimpico, vincendo la medaglia d’argento nel lancio del disco alle ultime Paralimpiadi di Rio, nel 2016. E in montagna, lui, ci va davvero a occhi chiusi.
Honey con l’acca
È davvero una persona unica, Oney Tapia: a partire dal nome di battesimo. «In realtà sarebbe Honey, con l’acca. Quando sono arrivato in Italia, l’acca me l’hanno tolta». È questo l’unico momento del nostro incontro in cui esce un po’ di rammarico. «Il nome è importante, per una persona, bisognerebbe rispettarlo, non modificarlo». Arriva dal personaggio di un libro che sua madre leggeva mentre lo aspettava. Non si ricorda il libro, e nemmeno il personaggio, ma «non ho mai incontrato un’altra persona, a Cuba, che avesse il mio stesso nome». Unico, appunto. Lo incontro, Oney, durante una passeggiata sui sentieri delle Alpi Orobie. Certo, nulla di impegnativo, per carità, un ‘semplice’ sentiero che si svolge poco sopra i mille metri, lungo le alture che guardano il Lago d’Iseo: ma provate voi a camminare un paio d’ore in montagna senza poter vedere alcunché! Non solo, è proprio lui, il ‘cieco’ a fare da guida a tutti gli altri che hanno accolto l’invito di Cbm – associazione attiva nel campo dell’assistenza e della cura per chi ha problemi di cecità, in Italia e all’estero, in particolare Kenya e Ruanda dove hanno centri specializzati – a provare “ad andare in montagna ad occhi chiusi”. È lui, Oney, che racconta agli al- tri cosa ‘vede’ lungo il percorso, il bosco, il sentiero, il terreno sotto gli scarponi: tutte cose che il nostro amico ‘vede’ basandosi sui racconti di chi gli sta intorno. «Basandomi sulle loro parole – dice Oney – dipingo nella mia mente l’immagine del bosco, delle montagne, del paesaggio». In pratica, è un pittore che sulla tavolozza non ha colori ma parole. «Ascolto il mio corpo, le sensazioni che mi dà», dice a chi lo accompagna. «È importante ascoltare il nostro corpo: la nostra pelle è come un radar, ci fornisce tantissime informazioni su cosa ci sta intorno». Profumi, suoni, parole, tutto aiuta a dipingere l’immagine nella mente, anche quello che tocca con le mani e perfino con i piedi, o con la pelle. «Sento il terreno sotto gli scarponi, capisco se è duro, molle, sassoso, morbido. Se ci sono foglie o fango. Tutte cose che mi aiutano a farmi un’idea di dove sono. Adesso, per esempio, capisco dal flusso di aria che sento sulla pelle che siamo usciti dal bosco e ci troviamo in un’area aperta, una radura o forse anche un campo». Chi lo incontra per la prima volta, spesso, rimane un po’ titubante, forse anche impaurito. È in quel momento che esce la grande capacità di relazionarsi di questo omone grande e grosso, con il fisico dell’atleta professionista ma un grande acume psicologico. «Spiego che io ho bisogno dei suoni, per capire cosa ho intorno. Non puoi venirmi vicino e allungarmi la mano per salutarmi, e poi rimanere senza parole: non la posso vedere, la tua mano. Devi parlarmi. Spiego questo, e altro, li spingo e li stimolo, e alla fine tutti riescono a comportarsi con naturalezza».
Il cambiamento
Perdere la vista a trentacinque anni, quando si è nel pieno della vita, si ha una famiglia, una carriera sportiva di livello (è stato atleta nel pugilato e nel baseball): cosa hai provato quando, improvvisamente, il mondo è diventato nero?, la domanda forse non molto delicata, ma Oney preferisce così, la sincerità prima di tutto. «Nulla accade per caso, ogni cosa ha sempre un motivo», la sua risposta che, probabilmente, lascia molti disarmati. Nessuna recriminazione, nessun dolore, nessuna rabbia, solo tanta e profonda accettazione di ciò che è successo, di ciò che è. «Ho visto abbastanza colori in trentacinque anni». Come dire, ho visto con gli occhi, adesso posso concentrarmi sul vedere con la mente, lo spirito, il cuore. «Perdere la vista è stato un cambiamento», la sua ammissione. «Cambiare si può, bisogna saper affrontare le situazioni con tranquillità e pace». Parole che vogliono essere anche di stimolo a quanti, in qualunque momento, si trovino a dover affrontare situazioni o ostacoli ritenuti – a torto, secondo il nostro amico – insormontabili. Lui, Oney, il cambiamento lo ha saputo affrontare ed anche addomesticare, traendone il massimo o quasi. Non è solo un camminatore, ma è anche un atleta olimpico, medaglia d’argento ai Giochi paralimpici di Rio due anni fa e grande speranza dello sport paralimpico della penisola al prossimo appuntamento in Giappone, e perfino un ballerino: ha vinto, infatti, un’edizione di Ballando con le stelle. Ride, lui, ripensando a quella esperienza. «A Cuba – racconta – ho fatto pugilato e baseball. Giunto in Italia ho continuato con il baseball. Mi è sembrato naturale continuare a fare sport anche da cieco: è stato solo necessario cambiare, adattarsi, affrontare il cambiamento. Ballando con le stelle? No, non mi sento un ballerino – dice ridendo –, ho fatto solo qualche passo, nulla di più». «Oney è un atleta nato», dice il suo allenatore, Guido Sgherzi. «Quando mi hanno chiesto di seguirlo, visto che avevo già esperienza con altri atleti ipovedenti nelle società sportive bergamasche, ho solo dovuto insegnargli i movimenti per il lancio del peso e del disco: fisicamente c’era già, il resto del lavoro lo ha fatto lui, con il suo fisico, la sua voglia di vivere». Alla sua prima uscita come pesista, infatti, ha subito marcato il nuovo record italiano. Da quel momento, una crescita incredibile, che lo ha portato prima al titolo europeo e poi, immediatamente dopo, all’argento olimpico. E adesso? «Adesso, si lavora per le prossime Paralimpiadi, a Tokyo. Dieci allenamenti alla settimana», dice. Sempre con la stessa filosofia, la stessa voglia di lottare nonostante tutto e di assaggiare tutto della vita. Anche ad occhi chiusi.