Tikehau, l’atollo del business
Il punto di partenza è la cifra di un miliardo. Pronta per essere puntata sulle aziende italiane. Anche superiore, se si presenterà l’occasione giusta. L’obiettivo è di fare del Paese il secondo mercato dopo la Francia. Se fin qui Tikehau capital ha scommesso su finanziamenti (direct lending) alle imprese nazionali, ora il fondo francese quotato da un anno e mezzo all’Euronext di Parigi, mette la barra verso l’Italia facendone la testa di ponte di un flusso di capitali e investimenti diretti nell’economia reale. «La presenza di Tikehau in Italia va infatti oltre l’attività d’investimento. Abbiamo raccolto capitali da una cinquantina di investitori istituzionali, molti dei quali sono asset manager, fondi pensione, family office, casse private e compagnie di assicurazione. Si può dire che portiamo anche i capitali italiani in Europa per trovare opportunità di investimento in imprese che crescono in altri mercati. Questo fa dell’Italia un mercato chiave per Tikehau, insieme alla Francia». A parlare è Guillaume Benhamou: da Londra segue gli investimenti di private equity. È di passaggio a Milano perché è nel capoluogo lombardo che sta nascendo la nuova squadra: consumerà chilometri a caccia di campioni, cioè aziende che raccolgono all’estero la maggior parte dei loro ricavi e vogliono aumentare taglia e solidità. Per aggiungere carburante Tikehau ha arruolato
nei giorni scorsi Roberto Quagliuolo, 37 anni, che ha lasciato il fondo Oaktree capital per guidare appunto il private equity del fondo francese in Italia. Affiancherà Luca Bucelli, ex Lehman, dal 2014 Country head del fondo: ha guidato l’ingresso nel mercato italiano e ha seguito le attività di private debt, investendo a marzo 65 milioni in Business integration partners (Bip) per supportarne la crescita internazionale, e nei mesi precedenti ha raggiunto un accordo con Hig Whitehorse per un finanziamento diretto di 85 milioni nelle macchine tessili della Savio, 72 milioni nelle soluzioni software di Dedalus e ha fornito risorse a GF Spa, Marlink-Telemar, Surfaces Technological Abrasives, Italmatch, Irca, Doc Generici, Comdata, Megadyne e Arena. Tikehau per molti è il nome di un atollo nella Polinesia francese. Nella business community è soprattutto il fondo di cui è stato per un periodo socio e partner Jean Pierre Mustier che ha poi venduto le quote nel giugno del 2016, qualche mese prima di approdare sul ponte di comando di Unicredit in qua- lità di Ceo. Da allora l’investitore francese è cresciuto: si è quotato a Parigi dove a marzo 2017, data dell’Ipo, valeva 1,5 miliardi in termini di capitalizzazione. Oggi quel valore supera i 2,8 miliardi. Oggi gestisce 14 miliardi di asset. Di questi, 6,1 miliardi sono stati indirizzati verso i prestiti alle imprese – mestiere storico –, 2,2 miliardi verso il real estate, 3,3 miliardi sono gli investimenti ‘liquidi’. In base alla nuova rotta disegnata a Parigi, il private equity crescerà dai 2,6 miliardi attuali. L’Italia farà da volano. «Investiremo in quote di minoranza di aziende che vogliono diventare campioni globali. L’occasione potrà nascere dalla necessità di supporto per fare acquisizioni, dai passaggi generazionali per stringere un patto di investimento con le nuove generazioni», dice Benhamou. Tikehau investirà con quote tra il 20 e il 30%. Mai come in questo momento l’M&A è stato così vivace. Si è tornati ai livelli pre-crisi. «Direi piuttosto che il modello è cambiato. Prima del 2008 si assisteva ai grandi buyout. Le vere protagoniste sul mercato oggi sono invece le piccole e medie imprese, risponde Benhamou dal 2011 in Tikehau dopo aver lavorato in Mubadala. L’approccio è quello dell’investitore di lungo termine: «Le aziende in Italia si pagano a multipli elevati. Ma in questa fase vale di più la capacità di trovare soluzioni ai problemi degli imprenditori. È una fase economica complessa. E noi vogliamo abbracciare la complessità».