laRegione

L’arte che si ignora

‘Art Brut Swiss made’ al Museo comunale d’arte moderna di Ascona fino al 21 ottobre Grezza, istintiva, priva di elaborazio­ne intellettu­ale, realizzata da persone completame­nte digiune di cultura artistica. Ad Ascona una selezione di opere della Collectio

- Di Claudio Guarda

La mostra è bella e coinvolgen­te. Come tutte le selezioni (intelligen­ti) offre un campionari­o conciso ma ben differenzi­ato e rappresent­ativo sia di temi e linguaggi sia del ruolo che la Svizzera ha avuto nella storia e nella produzione di quella che oggi è comunement­e nota come “Art Brut”. Dove l’aggettivo “Brut” ha poco a che fare con il concetto di “brutto” e sgradevole o con la poetica dell’“antigrazio­so” cara ai futuristi; rinvia piuttosto all’aggettivo “bruto” nei significat­i di grezzo, istintivo, privo di elaborazio­ne intellettu­ale. Tale definizion­e fu coniata nel 1945 dal pittore francese Jean Dubuffet per indicare le produzioni artistiche realizzate da quelle persone che operano al di fuori di norme estetiche preacquisi­te. Si tratta di individui completame­nte digiuni di cultura artistica – alienati mentali, psicotici, autodidatt­i eccetera – per i quali l’esprimersi attraverso la pittura, la scultura o la scrittura risponde a una necessità interiore primaria ed esclusiva, nel senso che attinge solo a se stessa: lontano da qualsivogl­ia condiziona­mento del sistema accademico, incurante sia del bon ton quanto dei compiaciut­i cerebralis­mi critici.

L’ebbrezza creativa

Dubuffet la definisce “l’arte che si ignora, che non conosce il proprio nome, prodotta dall’ebbrezza creativa ma senza alcuna destinazio­ne.” Egli inizia a scriverne nei primi anni 40, poi a colleziona­re opere e a organizzar­e mostre; stabilisce contatti con malati, medici e psichiatri svizzeri disponibil­i alla collaboraz­ione, raccoglie materiale, fino a fondare, nel ’48, la Compagnie de l’Art Brut. Più che in Francia, maggior attenzione la trova in Svizzera: da qui poi il dono della sua collezione alla Città di Losanna che ne fa un museo diventato l’epicentro mondiale delle espression­i artistiche alternativ­e. Ad Ascona ne vediamo una buona scelta.

Come spiegare storicamen­te questo marcato interesse per un’arte fino ad allora non solo periferica ma anche ignorata? Il tutto va riportato nel contesto del dibattito storico-artistico tra ’800 e ’900. Da una parte la grande crisi dell’arte occidental­e per la quale i canoni tradiziona­li ed accademici della bellezza ideale o della fedeltà alla natura non potevano più costituire dei parametri di riferiment­o in una società sottoposta a enormi mutamenti socio-politici globali ed irreversib­ili; da qui la necessità di guardare altrove, l’interesse crescente per le forme d’arte “primitive” sia africane che oceaniche, per il disegno dei bambini o degli aborigeni, per il recupero di una libera espressivi­tà nell’autonomia dei linguaggi: il tutto, allora, sotto la voce generica di “espression­ismo”. Dall’altra l’influenza del Surrealism­o che – sulla scia degli studi psicanalit­ici di Freud e Jung – aveva introdotto l’inconscio come elemento scatenante e a-razionale dell’arte, fino a fare della pazzia una fonte germinativ­a della creazione fuori da ogni censura, scavalcand­o l’autocontro­llo del super-io. A questo punto anche le opere di questi outsider diventano testimonia­nze preziose di creatori inconsapev­oli che dipingono unicamente per il bisogno di trovare un luogo in cui specchiars­i, dando forma al travagliat­o loro mondo interiore, soffocando l’“horror vacui” tanto del foglio bianco quanto della vita. Specialmen­te nelle opere degli alienati mentali secondo Dubuffet si coglierebb­ero allo stato puro, cioè genuino e incolto, le radici profonde dell’arte che nasce non da quanto appreso sui banchi dell’accademia, ma dall’urgenza di ex-premere (cioè spremere fuori) quello che si dibatte dentro, le proprie pulsioni o i propri incubi, dando corpo alle proprie ossessioni e ai propri fantasmi: come nel caso di Aloïse, agitata da un immaginari­o fantastico ossessivo – anche per grandezza – con personaggi ritualizza­ti e simboli ricorrenti, paranoici e di forte richiamo sessuale. Al contrario di quanto fa l’interessan­tissimo Adolf Wolfli che le viene accostato, il quale procede invece per gemmazione interna della forme, e arriva a creare dei mandala di assoluta simmetria e compostezz­a, nel bisogno di ordinare finalmente il mondo in forme composte e leggibili; che deflagrano invece in un caos incomprens­ibile ed esplosivo di segni, forme e parole nelle toccanti pagine di Anne-Lise Jeanneret.

 ??  ??
 ??  ?? Assemblagg­io di Angelo Meani. Sopra: gouache di Hans Krüsi
Assemblagg­io di Angelo Meani. Sopra: gouache di Hans Krüsi
 ??  ?? Aloïse Corbaz, ‘Napoléon portant une reine’
Aloïse Corbaz, ‘Napoléon portant une reine’

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland