Viaggio al cuore del popolo hazara
Quando Ismail, fra le montagne tra Pakistan e Afghanistan, prende coscienza di aver finalmente ritrovato sua madre, non la riconosce, e lei non riconosce lui. Troppi anni sono passati, 20, da quando lui, a soli 9 anni, è scappato verso l’Europa, per salvare la propria vita. C’è in questa scena tutto lo spaesamento del protagonista e del popolo hazara, la cui secolare tragedia è approdata al Festival con ‘Sembra mio figlio’ di Costanza Quatriglio, presentato ieri Fuori concorso (in programma ancora oggi e domani). Più di dieci anni fa, fra le stazioni di Roma, mentre lavorava a un documentario, la regista italiana ha conosciuto molti ragazzi afghani, i cosiddetti minori non accompagnati che hanno attraversato l’Asia per giungere in Europa. Fra questi Mohammed Jan Azad, ragazzo hazara, figlio del popolo perseguitato in Afghanistan, con ancor maggior accanimento dai talebani, che nel 2001 hanno pure distrutto i loro splendidi Buddha di Bamiyan. Anni dopo la storia di Azad – storia paradigmatica di tanti ragazzi come lui – è diventata un film, quello che si può vedere qui a Locarno. Il protagonista, dopo 20 anni senza notizie, dopo aver attraversato l’Asia da bambino ed essersi fatto una vita in Italia, un giorno viene a sapere che sua madre è ancora viva, a Kabul. Decide così d’intraprendere il viaggio al contrario, per ritrovarla finalmente, e con essa la propria appartenenza a un popolo ancora e ancora sterminato. Forse non tutte le scelte sono comprensibili, ma la regista riesce con forza e delicatezza a portarci dentro una tragedia che, da personale, si fa universale. Dedicato a chi sa guardare negli occhi il prossimo, anche se diverso. CLO