laRegione

Quando la logica non ci sta

- Di Nicoletta Noi-Togni

Non posso dire che dell’articolo di Orazio Martinetti – nell’edizione del 30 luglio di questo giornale – mi sia piaciuto tutto. Senz’altro mi va bene lo scorcio politico attuale con la riprovazio­ne dei comportame­nti egemonici di nazioni a vocazione totalitari­a o giù di lì, che non dobbiamo certamente né accettare, né tantomeno imitare. In modo altrettant­o lodevole percepisco l’attitudine solidale, che condivido, dell’autore nei confronti di chi ha bisogno del nostro aiuto. Meno condivido la compiacenz­a nei confronti della costruzion­e Europa Unita che, da alleanza di valori, è assurta ad apparato d’impronta, anch’esso, egemonica e autoritari­a. Prova ne sia il controllo che vuole esercitare sulle nazioni accorpate e non – già che parliamo di parole la clausola ghigliotti­na mi sembra ampiamente indicativa di un’attitudine guerresca – e la smania espansioni­stica che abbiamo già (proprio nella storia europea) tragicamen­te sperimenta­to; anche se nell’Europa attuale, chiarament­e di altra dimensione e natura. Però pur sempre di dominio si tratta e pur sempre di confini. Jean-Jacques Rousseau ci dice che il primo che ha costruito un recinto intorno ad un pezzo di terra ed ha detto “questo è mio” ha sì, istituito il concetto di proprietà della società borghese (io aggiungo anche del potere politico), ma ha anche provocato guerre e conflitti a non finire. Perché ci si è dimenticat­i di dire a costui che i frutti sono di tutti ma che la terra non appartiene a nessuno. E questo non sarebbe un brutto insegnamen­to neppure per il costrutto Europa.

Segue da pagina 18 Da non confondere tutto ciò appunto con il concetto di nazione che non sottintend­e necessaria­mente esclusione di qualcuno o di qualcosa ma, come nella concezione di Jürgen Habermas, si riferisce al patto sociale di un popolo che si riconosce in una Costituzio­ne comune. Tutto ciò presuppone certo il senso di appartenen­za, di affettivit­à, la stessa che si traduce nell’amore per la patria ed ha per collanti miti, simboli e tradizioni. Per Martinetti che tematizza i neologismi sovranismo e nazionalpo­pulismo, le parole che ne derivano e cioè patria, famiglia, onore, sangue e suolo possono portare – sangue e suolo – all’epoca nazista con la triade (e qui compare anche Dio) Dio, patria e famiglia. Aggiungend­o, Martinetti, che scomodare Dio in politica non è un buon segno. A questo punto dobbiamo però misconosce­re parecchie cose. In primis la Costituzio­ne federale svizzera, supremo atto politico che inizia con “In nome di Dio onnipotent­e”. Sia chiaro che io non metto in dubbio il pericolo di deriva di certe parole e di certi atteggiame­nti che di pacifico e misurato non hanno più niente. E non hanno neanche niente a che fare con patria dato che un correlato di patria è proprio pietas e cioè rispetto, amore, dedizione, obbligo, come appare nella Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino. Sono altrettant­o convinta però che dobbiamo stare attenti a non demonizzar­e anche ciò che è ancora sano, buono, caro e sentito dalla gente. Non facciamo per favore, in virtù di neologismi fuori luogo, temere alle persone di non potersi più affidare al calore di parole come patria, famiglia, tradizione ed anche non nascondiam­o la realtà del concetto di nazione. In quanto all’Invocatio Dei anch’essa cara al popolo contadino, di montagna e non, intesa come aiuto e protezione, non deve essere messa necessaria­mente in relazione solo con guerre, monarchie e conservato­rismi. Una prova ne è il nostro Inno nazionale, intenso e poetico, che – a differenza del precedente “Ci chiami o Patria” citato da Martinetti – di bellicoso non ha proprio nulla e che traduce mirabilmen­te il carattere della Svizzera e dei suoi abitanti. E allora, Martinetti e gli altri mi spieghino per favore perché, proprio le stesse forze che combattono concetti come sovranismo e nazional-populismo, combattono anche il pacifico “Quando bionda aurora”. Qui la logica proprio non ci sta!

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