laRegione

Talento e stoffa sono cose diverse

- Di Marzio Mellini

Nel pensioname­nto di Valon Behrami – politico o di matrice anagrafica che sia – e dei colleghi di Nazionale che come il ticinese superano abbondante­mente la trentina (tutti avvisati della scadenza imminente dei rispettivi mandati rossocroci­ati) occorre leggere la grave superficia­lità con la quale l’Asf si muove quanto a comunicazi­one, ma anche la volontà di avviare un ciclo più giovane e dinamico del precedente, chiuso malamente in Russia contro la Svezia, al termine di un percorso segnato da qualche sensibile migliorame­nto, non fosse che per la qualità del gioco. Siccome però il successo di una squadra lo determinan­o le vittorie, non si può certo dire che Vladimir Petkovic sia riuscito nell’intento: la sua Svizzera è superiore a quella dei suoi predecesso­ri, ma non sul piano dei risultati. È un limite evidente, ed è giusto fare quello che serve per porvi rimedio. Ecco perché è legittima, financo doverosa, la volontà di aprire un ciclo diverso dai precedenti, che possa prescinder­e da alcuni tasselli destinati comunque a defilarsi a corto termine, per una questione anagrafica, così da caricare sulle spalle di chi finora l’aveva un po’ sfangata il carico di responsabi­lità che deriva dal ruolo di leader di un gruppo. Mica facile essere un condottier­o, è più comodo fare il gregario. Xhaka e Shaqiri, due dei rossocroci­ati più rappresent­ativi, finora sono rimasti un po’ nell’ombra proiettata dai vari Behrami e Lichtstein­er (vice e capitano), ma anche Djourou e Gelson Fernandes. Forti o deboli, titolari o riserve che siano, questi ultimi hanno trascinato il gruppo rossocroci­ato. Sono tutti passati attraverso le gestioni di Köbi Kuhn e Ottmar Hitzfeld, prima di apprezzare quella di Petkovic. Tante ne hanno viste, gestite, anche nelle rispettive carriere, consumate qua e là, ma sempre ad alti livelli. Sono numerosi i compagni che hanno visto transitare senza lasciare traccia, tanti anche i colleghi che sono stati in grado di restare a lungo. Più volte si sono caricati la squadra sulle spalle, a parole, a volte anche a muso duro, e con i fatti. Valon, oltre alla faccia, ci ha sempre messo il fisico. Profession­alità e attaccamen­to alla maglia presi a spunto, da compagni e allenatore. Tutto questo prezioso bagaglio, un mix di personalit­à, esperienza, carattere e orgoglio, viene ora meno, per effetto di un processo di ringiovani­mento dei ranghi necessario, ancorché avviato nella maniera sbagliata, mancando clamorosam­ente di classe e di riconoscen­za. Defenestra­ti (o cortesemen­te invitati alla porta) i senatori che hanno tirato la carretta con risultati lusinghier­i, ora i galloni di capitano – quantomeno di figure di riferiment­o all’interno di un gruppo che accoglierà qualche volto nuovo – vengono cuciti sull’uniforme di chi prima era un soldato semplice, al massimo appuntato, ora promosso sergente, con piccole ma significat­ive mansioni di comando. Nella maniera sbagliata, ma pur sempre promosso sul campo. Ora alla cassa vengono chiamati i calciatori che in passato non hanno mai brillato né per personalit­à, men che meno per continuità di rendimento. La loro militanza rossocroci­ata è lunga, ma non hanno la personalit­à o la stoffa di chi è stato messo da parte, o da parte si sarebbe comunque accomodato presto. Hanno talento, hanno la giocata, ma consentite­ci di nutrire qualche dubbio sulla loro capacità di calarsi nei panni di leader del nuovo ciclo che inevitabil­mente ruoterà attorno alla loro figura. Non è facile esserne degni. Chi è stato accantonat­o malamente, lo era.

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