Cosa resta di Cindy Shank?
Si intrecciano tre fili, nella storia di Cindy: quello del ricordo di una madre e una moglie per 3 figlie e un marito aggrappati al passato e al futuro e ostaggi di un presente dilatato, in attesa di una grazia presidenziale – il Clemency Project che è stato di Obama – tanto improbabile quanto è severa la legge dei numeri; quello della speranza di iniziare un giorno a riallacciare un rapporto che non fosse quello telefonico, saltuario e disperato, artefatto come può essere il cliché di una quotidianità immaginata; e quello artistico e professionale, oltre che umano, di Rudy Valdes, il fratello di Cindy, che sulla vicenda della lunga detenzione della sorella in carceri federali ha pazientemente costruito un intreccio familiare dai potenti contorni emotivi, e ieri alla Sala si è guadagnato 5 minuti di applausi per il suo piccolo capolavoro documentario, “The Sentence”. C’è, in America, una decisione del Congresso che impone 15 anni di pena minima obbligatoria per chi sia stato anche solo sfiorato, perché a conoscenza o coinvolto indirettamente, in un crimine legato alla droga. E sono decine di migliaia, i detenuti che hanno pagato e continuano a pagare questa aberrazione. Nel 2016, su 36mila persone teoricamente soggette al Clemency Project, solo in 1’600 ne hanno beneficiato. Fra esse, nove anni dopo l’arresto, Cindy Shank, emblema di uno squarcio, di un vuoto insensato, ma anche di quello che possono fare amore e perseveranza. Rudy, intanto, continua a lottare a prescindere. Sul suo personale cammino, ha quantomeno incontrato un grande cineasta.