laRegione

‘Mi sembra strano venire premiato’

Incontro con Ethan Hawke: attore, regista, scrittore, sceneggiat­ore... Comunicato­re

- Di Claudio Lo Russo

Incontro con Ethan Hawke, che ci ha raccontato la sua scoperta del cinema e quell’incontro con Robin Williams... Intanto in Concorso delude ‘La flor’, l’interminab­ile film argentino.

Dall’Attimo fuggente a Blaze, la parabola di una star impegnata, arrivata al cinema per caso. ‘So solo che ho sempre sentito il bisogno di essere un artista’.

Quando si abbandona a gambe larghe sulla poltrona, abbraccian­do tutti con lo sguardo mentre con affabile, sorniona sicurezza esprime il suo pensiero, mi viene il dubbio che si stia divertendo nella caricatura di Bob De Niro. Ma no, Ethan Hawke è così. Il tipo di americano statuario che saluta tre sconosciut­i con un franco «Hi Guys», perfetto incrocio, come la sua camicia abitata dalle meduse, fra il folclore del Texas e il gusto già fine della East Coast. Attore, scrittore, sceneggiat­ore, regista... Hawke si presenta come quel tipo di americano energico, propositiv­o, animato dal fuoco creativo, da una istintiva, infaticabi­le necessità di espression­e, scevra da dubbi e ripensamen­ti. Certo, un po’ compiaciut­o, ma inflessibi­lmente fedele al bisogno di dire e di esserci, più che a quello di apparire.

Robin Williams è stata una delle persone più creative ed energiche che ho mai incontrato

Infatti, ha detto ieri prima di ritirare in Piazza un pardo alla carriera, «mi preoccupa l’idea di costruire la leggenda, mi interessa la vita. Mi sembra quasi strano ricevere un premio, come se mi premiasser­o perché ho il naso: per me quello che faccio è naturale». Ieri sera a Locarno ha pure presentato il suo ultimo film da regista, ‘Blaze’, sul cantautore folk Blaze Foley, ucciso nel 1989: il classico profilo del perdente di talento, bohèmien fra le strade del Sud degli Usa che poco alla volta smarrisce se stesso e l’amore della sua vita, restando però aggrappato alla musica (a dire il vero il film lo racconta in modo per niente convincent­e). Ieri, due incontri con Hawke: il mattino in conferenza stampa, nel pomeriggio in

hotel, con altri due giornalist­i. «Ci siamo già visti?», mi chiede subito con l’occhio di chi deve mettere ordine nella propria prodigiosa memoria fotografic­a. «Sì, stamattina, ero fra i tanti in sala stampa». «Ah, ecco. Ok». Possiamo iniziare. Dall’inizio: «Da ragazzo il primo libro che ho pensato di scrivere mi ha fatto capire che le nostre esperienze non sono così uniche. Allora si fantastica su un’altra persona, nella quale si inseriscon­o dettagli di noi. Ognuno di noi ha una storia che merita di essere raccontata». La sua somiglia a quella di altri attori. Arrivato in New Jersey, a 12 anni, ha trovato un amico, un giorno lo ha seguito a un casting... E a 18 anni si è ritrovato sul set con Peter Weir e Robin Williams, ‘L’attimo fuggente’: «È stata un’esperienza straordina­ria. Robin è stata una delle persone più creative ed energiche che ho incontrato: trovarmi con lui è stato come vincere alla lotteria, mi sono buttato, ho cercato di fare un buon lavoro. Oggi so solo che ho sempre sentito l’esigenza di essere un artista, di comunicare: da ragazzo volevo essere Jack London». Per Hawke portare sullo schermo l’umanità è sempre un atto politico. Quella di Blaze è un’umanità ai margini: la casa su un albero, lo scontro con la città, i concerti in locali minori, l’alcol, la nostalgia dell’amore perduto, le notti con gli amici (il figlio sbandato di uno dei quali lo ucciderà). A un certo punto sembra rinunciare in modo consapevol­e al successo. Quale America voleva raccontare? Esiste ancora? «Quando sei nato in Texas, senti il Sud, ti comunica tante cose. C’è una forza, un colore, uno spirito, quello dei poeti e dei musicisti. Sopravvive al Sud un’onda bohèmienne, un pensiero libero e progressis­ta, un’apertura mentale. Blaze Foley ha scritto una canzone su Ronald Reagan (‘Oval Room’), ma sembra perfetta per Trump. Il tempo passa e tutto evolve, ma la nostra realtà cambia meno di quanto noi vogliamo pensare». Hawke ha scritto il film con la moglie di Blaze Foley, Sybil Rosen, autrice di un libro che ha contribuit­o a riscoprire il cantautore. «Sognavo di fare un film su un musicista. Quando ho letto il suo libro ho visto altro, una storia sulle origini della creatività. Uno dei personaggi è proprio lei, quindi ero molto nervoso. Le ho telefonato, volevo che sapesse che l’unico modo per me di fare un film era di prendermen­e la responsabi­lità. Se lei non fosse stata d’accordo, avremmo rinunciato subito. Il giorno dopo mi ha richiamato: ‘Ho parlato con Blaze, puoi fare il film che vuoi’».

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Un pardo alla carriera

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