Il Festival, la politica, il cinema in Ticino
Il Festival ha bisogno della politica e la politica ha bisogno del Festival. Possiamo riassumere così il senso dei tanti discorsi pronunciati ieri al tradizionale ricevimento del Gran Consiglio, con il Palacinema riempitosi non di cinefili ma di “altissime autorità” (cit. Marco Solari). Iniziamo dal primo aspetto: il Festival ha bisogno della politica. Questione di sussidi, certamente – e soprattutto adesso che il “piano quinquennale” di finanziamenti è in scadenza insieme alla legislatura –, ma non solo: come ha sottolineato il presidente Solari nel suo intervento, è soprattutto una questione di fiducia, di riconoscimento, di radicamento nel territorio. Secondo punto: la politica ha bisogno del Festival. Perché è un fattore di cambiamento, perché è un esempio di come anche in Ticino, ogni tanto, si possa collaborare invece di litigare. E perché – riprendiamo le parole del consigliere di Stato Christian Vitta, ma il concetto è stato espresso un po’ da tutte le autorità politiche – oltre che una finestra sul mondo, è un biglietto da visita per il Ticino e la Svizzera. Poi, certo: Locarno è anche un festival cinematografico. A ricordarlo, ieri, c’è stata la presidente del Gran Consiglio Pelin Kandemir Bordoli, unica politica ad aver citato dei film – dal primo film che ha visto a Locarno nel 1990, ‘Viaggio della speranza’ di Xavier Koller, ai recenti ‘L’ordine divino’ di Petra Volpe e ‘Frontaliers Disaster’ – portati come esempi di come il cinema, con toni e sensibilità diverse, possa aprire porte su realtà vicine e lontane. E di cinema ha ovviamente parlato anche il direttore del festival Carlo Chatrian, proponendo un interessante viaggio nel Ticino attraverso quattro film. Si parte da un cantone agreste con ‘La bella maledetta’ di Leni Riefenstahl – la celebre scena alle cascate di Foroglio –, prosegue con il Ticino terra di confine di ‘Addio alle armi’ di Frank Borzage con Gary Cooper e si conclude con la realtà urbana, ovvero la Lugano raffigurata da Ettore Scola in ‘La congiuntura’ con Vittorio Gassman. Il quarto film è ‘Eve’ di Franco Borghi, film svizzero del 1932 andato perduto e del quale Chatrian, con l’aiuto del Cisa, ha “inventato” i titoli di coda, con lo stile dell’epoca. Come a dire che adesso il Ticino deve essere raccontato non solo da fuori, ma dai suoi protagonisti.