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Lo spazio intorno

In mostra a Palazzo Reale a Milano le opere di Agostino Bonalumi, protagonis­ta dell’astrattism­o

- di Claudio Guarda

Maestro della forma, Bonalumi si proponeva di azzerare l’arte tradiziona­le partendo dalla superficie del quadro, trasforman­do la tela da supporto a protagonis­ta

“Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento Milano ha dato vita a una straordina­ria stagione d’arte, architettu­ra e design che ha rinnovato lo slancio delle avanguardi­e storiche mettendole in dialogo con la contempora­neità internazio­nale”. Così Giuseppe Sala, sindaco di Milano, rievoca il fervore culturale e artistico di quella bella Milano, effervesce­nte e stimolante, ma anche interdisci­plinare e plurima nel senso che si dimostrava aperta al dialogo e al confronto con le molteplici varietà dei linguaggi artistici, dall’astrazione alla neofiguraz­ione, dal Mac allo Spazialism­o e alla Pop, da Fontana a Piero Manzoni. Agostino Bonalumi (1935-2013) “è stato uno dei più rigorosi e innovativi maestri di quella indimentic­abile stagione di rinnovamen­to, ancora oggi alla base della migliore ricerca contempora­nea”.

‘Se l’arte racconta o sfiora l’indicibile, io mi occupo del luogo dove è detto l’indicibile’

A lui Milano dedica una grande antologica a Palazzo Reale (a ingresso gratuito) con un complement­o al vicino Museo del Novecento visitabile fino al 30 settembre; vi si ripercorre il percorso creativo, dall’esordio, avvenuto a Milano, con Enrico Castellani e Piero Manzoni attorno al 1959, sino agli ultimi suoi lavori e alla recentissi­ma riscoperta e rivalutazi­one internazio­nale. Certamente ci sarà chi, leggendo, vedrà riaffiorar­e alla mente alcuni suoi importanti lavori presenti sul nostro territorio tanto nella Collezione Ghisla quanto nella Collezione Giancarlo e Danna Olgiati. Milanese di nascita e formazione, Agostino Bonalumi entra presto in contatto con Fontana e, nel ’60, è tra i fondatori di ‘Azimuth’ assieme a Castellani e Piero Manzoni. Loro obiettivo era l’azzerament­o dell’arte tradiziona­le in nome di un suo radicale rinnovamen­to tanto nelle forme e nei materiali, quanto nella sua funzione, ciò che li induceva ad operare una attenta riflession­e critico-analitica sui procedimen­ti e sui materiali impiegati. Bonalumi si concentrò so-

prattutto sulla superficie del quadro. Mediante l’inseriment­o di sagome di legno e metallo collocate dietro/sotto la tela – generalmen­te monocroma – Bonalumi trasforma la tela in un’esperienza tridimensi­onale mutabile con la luce. In questo modo la superficie non è più un supporto su cui si raffigura, ma è protagonis­ta, diventa luogo dell’evento. Non senza un pizzico di ironia egli diceva che “se l’arte racconta o sfiora l’indicibile, io mi sto occupando unicamente del luogo dove è detto l’indicibile (cioè il supporto), che tale rimane”. Con il loro contrappun­to di luce-ombra le opere adesso evidenzian­o unicamente la concretezz­a di un corpo plastico modulato dalla luce che entra in relazione con lo spazio dell’osservator­e. Non solo non raccontano altro da sé, ma assumono anche palesi connotazio­ni ambientali – con una pittura che si fa tridimensi­onale, scultorea – perché luci e ombre mutano con il variare della luce del giorno. La tendenza al “grado zero” lo induce inoltre ad evitare di lasciare tracce del gesto che rivela la presenza dell’artista, a favore di un monocromo dato in campiture assolutame­nte omogenee e impersonal­i. “Ho fatto ricorso alla monocromia – diceva – per chiudere a fraintendi­menti sempre in agguato.” Anche i titoli nella loro nudità – ‘Bianco’, ‘Rosso’ eccetera – intendono riportare l’attenzione dell’osservator­e unicamente sugli elementi costitutiv­i della pittura in quanto tali: superficie, forma, colore, luce, ombra, nulla di più. Una scelta radicale, esclusiva. Non si può capire tutto questo se non ricollocan­doci nel fervore di quelle ricerche – tanto locali quanto internazio­nali – cui abbiamo accennato in partenza. Che non fu solo un ambito di ricerca esclusivo dell’arte, perché in realtà investì e coinvolse, anche a Milano, molte altre discipline: dall’architettu­ra al teatro, dalla musica alle lettere. Nel caso nostro un rilievo particolar­e, per affinità di spirito, lo ebbe senz’altro il design con la sua ricerca di una linea di purezza, togliendo tutto il superfluo. Lo riconobbe lo stesso Bonalumi quando disse: “Ero certamente influenzat­o da un panorama di oggetti prodotti dalla tecnologia: non da un oggetto preciso, ma da questa sensazione di oggettuali­tà. Certe mie cose in qualche modo apparentat­e con questa oggettuali­tà poi le ho effettivam­ente ritrovate negli oggetti di design”.

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‘Blu’, 2012
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‘Giallo’, 1996. Sopra: ‘Rosso’, 1966
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