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L’economia che cambia anche il lavoro

Innovazion­e e digitalizz­azione stanno introducen­do metodi di produzione molto flessibili

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La trasformaz­ione digitale, così come le nuove tecnologie e i mutamenti in atto nel mercato del lavoro hanno radicalmen­te cambiato i bisogni individual­i così come quelli del mondo economico e, più in generale, della società. Il grande cambiament­o in corso implica necessità differenti e reazioni diverse, a dipendenza del contesto nel quale ci si muove. Vi sono alcuni denominato­ri comuni: un cambiament­o dei modelli di business e una richiesta di flessibili­tà maggiore. I nuovi modelli di business e le rinnovate strategie aziendali puntano su una ‘governance’ che si indirizza sulla sostenibil­ità, a tre livelli: economica, sociale e ambientale. Abbinando questi due fattori – nuove tecnologie e sostenibil­ità – si dà quindi vita a modelli di business e politiche strategich­e che conglobano in esse molteplici benefici per tutta l’economia stessa. Di questo si è parlato ieri sera all’Università della Svizzera italiana a Lugano. Ospiti Andrea Gehri, direttore di Gehri Rivestimen­ti Sa; Roberto Grassi, direttore generale di Fidinam Group Holding e Giorgio Calderari, direttore generale del gruppo farmaceuti­co Helsinn. Durante l’evento, promosso dalla Camera di commercio del Cantone Ticino, intitolato ‘Nuove forme di lavoro tra tecnologia e sostenibil­ità’, si è parlato del ruolo della formazione e di talent management, quale base del successo del fare impresa, con testimonia­nze settoriali. Si è trattato anche il tema del valore della flessibili­tà per restare competitiv­i in un mondo sempre più globale, poiché ci si confronta con una nuova cultura aziendale. Infine si è cercato di capire meglio alcune forme di lavoro in uso sempre più spesso nelle aziende, con un occhio di riguardo al benessere delle risorse umane, con influssi positivi sull’efficienza aziendale. In Ticino – fa notare un approfondi­mento sul tema da parte della Camera di commercio pubblicato qualche mese fa – quando si parla di lavoro e di occupazion­e si ragiona, in larga parte, come un secolo fa. Qui la flessibili­tà è intesa ancora come precarizza­zione dell’occupazion­e e i nuovi modelli di lavoro ingenerati anche dalla digitalizz­azione, sono solo sinonimi di nuove modalità di sfruttamen­to. In realtà – si sostiene – essi corrispond­ono alle mutate esigenze produttive imposte da mercati dominati da una concorrenz­a sempre più agguerrita. Un recente studio europeo (Eurofund) ha classifica­to nove grandi tipologie di modelli lavorativi diffusi in tutto l’Occidente: employee sharing (stessi lavoratori assunti da diverse imprese); job sharing (lavoro ripartito tra più dipendenti); temporary management (manager a progetto), casual work (lavoro intermitte­nte); telelavoro; voucher-based work; portfolio work (autonomi), crow employment; collaborat­ive employment; freelance e micro imprese. Tutte forme d’impiego nate spontaneam­ente che andrebbero regolament­ate.

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