Se la pelliccia ‘eco’ non piace all’ambiente
Mentre si affinano le sensibilità (di vario tipo) e si moltiplicano le religioni (laiche), all’alba del terzo millennio sull’orizzonte dell’umano impegnato e coscienzioso si profila una nuova vitale conquista, un imperativo seducente quanto spesso di ardua soddisfazione: chiamiamola “coerenza”. La ferma certezza in una determinata verità, la convinzione della bontà di un particolare valore, si traducono inevitabilmente nell’implacabile necessità di farne discendere tutta una serie di scelte e azioni, di conformare tutta la propria esistenza all’esigenza di professare l’adesione a quel valore o a quella verità. Il problema si pone quando l’esercizio di questa geometrica coerenza si scontra con le infinite quanto infide variabili e implicazioni di cui è costituita la nostra caotica società interconnessa, globale, consumistica. Ce lo conferma il dibattito che minaccia di lacerare il mondo della moda, con gli animalisti da una parte e gli ambientalisti dall’altra; e gli stilisti in mezzo, a cercare di assecondare sensibilità contrastanti. In breve, per la gioia degli amanti degli animali, sempre più grandi marchi della moda annunciano la loro svolta “fur free”. Vale a dire che si apprestano a rinunciare alle pellicce prodotte uccidendo degli animali per virare sulle cosiddette “pellicce ecologiche”. Gucci, Giorgio Armani, Chanel, Versace, Louis Vuitton, Prada, Hermes e Bruno Cucinelli, oltre alla vegetariana Stella McCartney, da tempo votata alla sostenibilità ambientale. Beh, tutti contenti: gli animali di nuovo in libertà, gli stilisti trendy (e ricchi) come sempre e i consumatori con la coscienza a posto. Se non fosse che, come ci informano le agenzie, a parte quelle di lana le pellicce “ecologiche” hanno ben poco di naturale. Al contrario sono composte di diverse fibre sintetiche, fra cui il Kanecaron a base di acrilonitrile (all’origine pure della plastica, oltre che dei peluche...). La svolta “eco” preoccupa dunque gli ambientalisti, allarmati all’idea di milioni di pellicce tutt’altro che biodegradabili a spasso per il pianeta. Samantha De Reviziis, alias Lady Fur, ex modella e influencer invisa agli animalisti, la spiega così: “C’è una grande confusione. Gli stilisti dovrebbero parlare ai consumatori precisando che alle definizioni che vanno ora per la maggiore come bio, eco, green, fur free, vegan ed eco-fur non corrisponde sempre il rispetto per l’ambiente”. Ecco che, stringi stringi, sembra quasi si tratti di eco-marketing (di plastica). La questione è saperlo. CLO