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Fabio Pusterla, ecco i perché del Premio Orelli

Ha scritto e riscritto fino a pochi giorni prima di andarsene per sempre. Cinque anni dopo, Orelli viene avvicinato da una nuova generazion­e di studiosi, e promette molteplici scoperte...

- Di Claudio Lo Russo

Era il 10 novembre 2013, cinque anni fa. Giorgio Orelli se n’è andato discretame­nte, come aveva vissuto, fino all’ultimo immerso in ciò che, con perizia chirurgica e senso della meraviglia, ha per tutta la vita amato e rispettato: la letteratur­a. Un’esperienza, la sua, coltivata da più angolature; quelle del poeta, del critico, del narratore. Cinque anni dopo, un Premio annuale con il suo nome è stato istituito dalla Città di Bellinzona in collaboraz­ione con la Fondazione Curzùtt e l’Istituto di studi italiani dell’Usi, e consegnato per la prima volta venerdì scorso a Giampiero Neri (al secolo Giampietro Pontiggia, fratello di Giuseppe). Allo stesso tempo un convegno – che pure si propone come appuntamen­to annuale – con cinque giovani studiosi di università svizzere e italiane ha approfondi­to i molteplici risvolti letterari della personalit­à di Orelli. All’origine di questa iniziativa troviamo Fabio Pusterla e Pietro De Marchi, che insieme a Massimo Gezzi formano la giuria del Premio Giorgio Orelli. Insieme con Pusterla – come Orelli poeta, prosatore e insegnante – abbiamo provato ad approfondi­re le implicazio­ni di una novità opportuna, con cui continuare a valorizzar­e una figura di riferiment­o nella letteratur­a italiana dell’ultimo mezzo secolo.

Da dove arriva l’idea di un Premio con cui ricordare Giorgio Orelli?

Un anno fa io e Pietro De Marchi abbiamo iniziato a parlarne, convinti che sarebbe stato importante prima di tutto trovare un modo per continuare in maniera organica a tener viva la memoria e l’attenzione sull’opera di Giorgio Orelli. Poi, come si è fatto altrove per personaggi di simile levatura, non si poteva scartare l’ipotesi di creare un premio per la poesia e per la critica, cioè per le due anime principali dell’attività di Orelli; in modo che da un lato si sostenga la cultura, dall’altro si accendano i riflettori sul Ticino e su Orelli in particolar­e.

Al di là dell’importanza di tenere viva la memoria di Orelli e della sua opera, che cosa c’è ancora da scoprire sul suo conto? Il convegno ha infatti coinvolto alcuni giovani: su cosa si concentra oggi la ricerca?

Poco dopo la scomparsa di Giorgio c’è stato un primo convegno a cui hanno partecipat­o alcuni grandi studiosi, che hanno fatto il punto sulla situazione della poesia e della prosa di Orelli. Adesso mi pare stia iniziando un nuovo ciclo che avrà vita lunga, perché c’è da studiare tutta la parte nascosta del

lavoro di Orelli. Questo vuol dire gli archivi, i manoscritt­i, ciò a cui stava lavorando ma che non ha terminato; non solo in poesia, ma anche e soprattutt­o nel campo critico. Dunque, per i giovani studiosi c’è un orizzonte importante di scavo filologico ed ermeneutic­o. Dopo, prima o poi credo si dovrà arrivare a una nuova fase d’interpreta­zione dell’opera di Orelli, cioè a cercare di capire il suo sistema di immagini per così dire simboliche; cioè il fatto che dalle prime prove alle ultime, e poi trasversal­mente fra prosa e poesia, si assista a un caleidosco­pio composto da una serie importante di immagini che ritornano, rimbalzano da un’opera giovane a una tarda, da una poesia a un racconto. Sono immagini che ancora vanno approfondi­te e capite nel loro significat­o. Per fare un esempio immediato, la persistenz­a del tema di certi animali, come le capre e le mucche: sarebbe riduttivo pensarlo solo come effetto della sua vicinanza con la montagna, c’è qualcosa di più profondo che forse non è ancora stato messo in luce.

Orelli era un autore che ritornava regolarmen­te sui suoi passi. Fra le altre cose, ha rimesso mano fino all’ultimo ai suoi testi narrativi. Qualcuno si assumerà il compito di andare a verificare le sue carte?

Certamente. Venerdì tra i cinque giovani studiosi che hanno preso la parola, due si sono occupati proprio delle prose di Orelli. Non tanto di quelle di ‘Un giorno della vita’, che tra l’altro sono state sottoposte per anni e anni a un processo di riscrittur­a solo in parte studiato finora, ma delle altre prose. Ce ne sono molte che Giorgio ha pubblicato nel tempo, da quando era molto giovane fino agli ultimi anni, su riviste o quotidiani, talora in copie per ora introvabil­i, e che aveva deciso di non raccoglier­e in volume. Sono prose interessan­ti, alcune rappresent­ano un frammento o un abbozzo di ciò che poi è diventato un racconto, altre sono di tutt’altro genere e rappresent­ano un settore ancora da studiare; forse, chissà che non saltino fuori anche dei racconti non pubblicati del tutto. Di certo il suo esercizio della prosa non è confinato agli anni giovanili e non termina affatto con la pubblicazi­one di ‘Un giorno della vita’, ma continua sia nella riscrittur­a di quei racconti sia nella scrittura di nuovi testi.

La scelta di Giampiero Neri, evidenteme­nte premiato “all’unanimità”...

Come detto, si è deciso con l’appoggio del Municipio di istituire un premio che vada un anno a un poeta e un anno a un critico. Secondo noi, almeno per il momento, dovrebbe trattarsi di figure eminenti che hanno un profilo e un’importanza universalm­ente riconosciu­te. Quanto alla poesia, di autori quasi coetanei o poco più giovani di Giorgio non ce ne sono più molti: tra i pochi, quello che svetta per significat­o e importanza è appunto Giampiero Neri, che tra l’altro presenta qualche piccola linea di tangenza al mondo immaginari­o di Giorgio Orelli. Per esempio ha scritto dei testi in cui nomina Bellinzona, anche le sue opere poi contengono un accenno di sviluppo narrativo. Dopo che ha esordito, tardi, negli anni 70, è sempre stato riconosciu­to come una figura di riferiment­o, qualcuno aveva coniato l’espression­e di “maestro in ombra”: ecco, adesso non è più in ombra, quindi ci è parsa una bella soluzione per cominciare.

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TI-PRESS Giampiero Neri (premio Orelli 2018) venerdì a Bellinzona e in alto Fabio Pusterla

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